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fanatico
/fa’natiko/ [dal lat. fanatĭcus “ispirato”, der. di fanum “tempio”] – agg. [di persona che mostri eccessivo entusiasmo per la propria fede, le proprie convinzioni, e intolleranza verso qualsiasi altra posizione: un fanatico moralista]
Cronaca dei fatti sul Nanga Parbat
Daniele Nardi e Tom Ballard arrivano in Pakistan con l’obiettivo di scalare lo Sperone Mummery, che si erge come freccia puntata verso la cima del Nanga Parbat, sul versante Diamir – primo e dichiarato obiettivo dei due – e se possibile, proseguire fino alla vetta.
Il team, oltre ai due, comprende Rahmat Ullah Baig e Karim Hayat, esperti alpinisti pakistani con esperienza di alta quota. Entro la fine di Gennaio 2019, il team procede con buona lena fino alla base dello Sperone Mummery, a 5700 metri di quota, stabilendo 3 Campi (C1 deposito sui 4700mt, C2 sul ghiacciaio a 5200mt, C3 alla base dello zoccolo , 5700mt). Poi il maltempo ferma le operazioni , neve e valanghe si abbattono sul Nanga e seppelliscono C2 e C3 e i due pakistani, l’uno per problemi di salute, l’altro per timori della pericolosità delle valanghe, abbandonano la spedizione.
Nardi e Ballard non demordono, si allenano al Campo Base sui grandi sassi con lunghe sessioni di drytooling, spalano in continuazione i Campi, perdono molto materiale tant’è che Nardi fa arrivare altri portatori per un rifornimento : nonostante sia ormai metà Febbraio, il morale e la determinazione dei due alpinisti rimangono alti.
Dopo la lunga sosta al Campo Base del Nanga Parbat per maltempo, si apre una finestra di tempo favorevole : Daniele Nardi e Tom Ballard partono il 22 Febbraio e si spingono fino a C2, posizionato sui 5200 metri.
Il 23 Febbraio, con zaini molto pesanti (in quanto il precedente C3 era andato distrutto dall’accumulo di neve da valanga) raggiungono e allestiscono C3 a 5700 metri, alla base dello Sperone. Riferiscono di essere un “pò stanchi” , eppure riescono a salire 300 metri dello Sperone per allestire C4 , a 6000mt circa. Daniele Nardi riferisce che nevischia e c’è vento leggero, circa 20kmh con qualche piccola raffica oltre i 30kmh.
Sabato 24 Febbraio , verso le 15 ora pakistana, Daniele Nardi chiama la moglie col satellitare, riferendo di aver raggiunto 6300 metri, in stile leggero e di essere in discesa verso C4 , con meteo non buono : nebbia, nevischio e raffiche di vento. Annuncia alla moglie che la avrebbe richiamata una volta giunti a C4.
Alle 18:28 ora pakistana (le 14:28 italiane) Daniele Nardi richiama, come promesso la moglie : “siamo a C4” [6000mt NdR] .Pochi minuti dopo, alle 18:35, la moglie di Daniele avvisa e conferma a Filippo Thiery che i due sono a C4.
* Abbiamo evidenziato in neretto questa tempistica, perchè in tutti questi giorni abbiamo letto ipotesi diverse: i media hanno riportato che l’ultima comunicazione era avvenuta prima/durante la discesa da 6300mt a 6000mt *
E’ l’ultima comunicazione dei due.
Il giorno seguente lo staff di Nardi, dalla pagina Facebook che è canale primario della loro comunicazione – assieme ai rilanci de “Le Iene”, popolare (e controverso, per il sensazionalismo che ne costituisce la cifra primaria) programma televisivo – annuncia che non vi è stato contatto con i due, “probabilmente per zona con assenza di campo” .
Cominciano, dietro le quinte, le preoccupazioni degli esperti : possibile che sia il satellitare che la radio in possesso dei 2 siano scariche o “senza campo” ? Le fonti pakistane , tra cui Ali Saltoro, manager dell’agenzia in carico di logistica e addetti al Campo Base, è fiducioso che sia un problema di batterie scariche.
Il 26 Febbraio mattina, si sparge una falsa voce che dice che i due stanno bene e sono a C4. Dopo frenetiche comunicazioni con le fonti pakistane, confuse e contradditorie, arriva la triste conferma che non c’è stato alcun contatto né visivo, causa nuvole sopra 5700 metri, né radio.
Si cominciano ad attivare i soccorsi, coordinati dall’Ambasciatore italiano in Pakistan Stefano Pontecorvo.
Purtroppo, il 27 Febbraio, giorno in cui il tempo migliora decisamente, causa grandi tensioni militari a seguito dall’abbattimento di jet indiani su territorio pakistano conteso nelle zone del Kashmir, gli sforzi per un invio immediato degli elicotteri non hanno subito esito positivo. Muhammed Ali Sadpara, celebre alpinista pakistano, compagno di Nardi nelle due spedizioni al Nanga con Txikon, si offre immediatamente per andare a cercare i due, essendo vicino a Skardu ; così come i due ex compagni di Nardi e Ballard, Rahmat Baig e Karim Hayat.
Ed è così che il 28 Febbraio un elicottero riesce a sorvolare la zona dello Sperone, con a bordo Ali Sadpara, che riesce solamente ad avvistare la tenda al C3 semisepolta dalla neve ; tracce di valanghe nella zona, in più una ricognizione sulla via Kinshofer – nell’ipotesi che i due avessero progredito la scalata e fatto rientro dal plateau – non porta altro che all’avvistamento dei vecchi resti di una precedente spedizione.
Ali Sadpara e altri locali, una volta di ritorno al Campo Base, non avvistano null’altro che enormi valanghe che cadono dai seracchi sommitali all’uscita del Mummery.
Lo scenario diventa drammatico, e ormai si teme per la vita di Daniele Nardi e Tom Ballard.
E’ Marzo, sono passati oltre 5 giorni senza alcun avvistamento, nessuna pila frontale, nessun segno visibile sulla via che sale al centro della parete Diamir.
Alex Txikon e l’Operazione di Ricerca e Soccorso
Contemporaneamente, dal 28 Febbraio , al CB del K2, entrambe le spedizioni , in quel momento in pausa per il maltempo sul gigante del Karakorum, si offrono generosamente per un aiuto nella missione di Ricerca e Soccorso : dopo uno stallo dovuto al maltempo e a consultazioni tra famiglie, staff, Ambasciata e locali coinvolti la decisione è di chiedere l’intervento di Alex Txikon, unico ad avere droni capaci di una precisa ricognizione video, senza incorrere nei rischi di una ricerca su terreno pericoloso.
Si ripete lo scenario del 2018, quando il team di Urubko,Bielecki e soci abbandonò il K2 per soccorrere Elisabeth Revol e Tomek Mackiewitz, riuscendo a salvare la prima in un drammatico ed eroico soccorso.
Txikon non ci pensa un attimo ad abbandonare la sua spedizione al K2, lasciando gli Sherpa del suo team al Campo Base sul Baltoro e scegliendo il medico e i due fedeli compagni spagnoli nel team (operatore di droni e comunque alpinisti ), arriva dal K2, prelevato dagli elicotteri della Askari Aviation (ricordiamo che è un’agenzia che utilizza mezzi e piloti sotto controllo militare e a pagamento, parliamo di circa 50.000 dollari al giorno) e sorvola lo Sperone : nessuna traccia.
Viene scaricato a C1, per cominciare le operazioni di ricerca in loco e l’ispezione con i droni, che possono spingersi oltre i 6000 metri di altezza in totale sicurezza e con precisione di movimento , programmato con GPS ,etc.
I quattro spagnoli baschi, tra cui un dottore, non risparmiano forzi immensi salendo tra Campo Base e Campo 2 , in zona già pericolosa per gli scarichi, evitando valanghe e tracciando su terreno pieno di neve e infido di crepacci, sul ghiacciaio che si inerpica alla base dello Sperone .
Lo sforzo immane di Txikon e dei suoi, assieme agli alpinisti pakistani summenzionati, è più che generoso, commovente, rischioso, la comunicazione del team di Txikon sempre rispettosa, precisa e delicata verso le famiglie e chiara con i Media.
Lo spagnolo non si ritira quando è evidente che i due non torneranno vivi dalla montagna, non cede quando le evidenze di enormi valanghe suggeriscono che i due siano ormai sepolti e dispersi per sempre. Vuole dare una risposta alle famiglie, non vuole lasciare nulla di intentato .
Nonostante la lite e la rottura tra Txikon e Nardi nel 2016, con estromissione di quest’ultimo e l’entrata di Simone Moro e Tamara Lunger nel team composto da Txikon e Sadpara, in quella che si rivelerà la cordata che agguanterà la prima storica invernale del Nanga Parbat, nonostante tutto Alex Txikon è molto legato a Daniele Nardi ; questo suo mirabile sforzo, disperato ma determinatissimo, alla ricerca dei due alpinisti persi, è una sorta di catarsi, oltre a un obbligo morale che lo spagnolo già aveva dimostrato di seguire senza alcun dubbio, a costo della sua stessa spedizione, in passato. Inoltre, con Nardi nel 2015 sempre sul Nanga aveva raggiunto i 7800 metri, ad un “passo” dalla prima invernale lungo la via Kinshofer ; poi aveva compiuto una via incompiuta, parzialmente nuova e intensa su quella montagna pazzesca che è il Thalay Sagar nella sua parete Nord ; infine aveva passato due settimane di acclimatamento nelle Ande con Daniele, subito prima della spedizione – e la rottura dei rapporti tra i due – del 2016.
E infine, il 5 e il 6 Marzo c’è il tragico epilogo, che ha un aspetto sorprendente e terribile , in qualche modo epico: col telescopio Txikon avvista e riconosce i corpi di Nardi e Ballard, a 5900mt di quota, vicino al cosiddetto Campo 4; non sono quindi stati uccisi da una valanga, difficile anche immaginare una scarica di ghiaccio come causa dell’incidente fatale ; i loro corpi sono intonsi e visibili dopo oltre 1 settimana, poco distanziati, tra le rocce, con corde e tracce di materiali aggrovigliati e vicini ai corpi. Le immagini non sono chiare ma sono tremende, e i media non si risparmiano il triste banchetto finale di esposizione quasi oscena, ripetuta, condivisa fino alla nausea.
Le foto prese dal tele vengono inviate, via Ambasciata, alle famiglie, che compiono il triste e definitivo riconoscimento.
I rilanci dei Media e la reazione sui social
Non vogliamo spendere troppe parole per riassumere l’isteria e il frenetico accavallarsi di notizie ufficiose, ufficiali, non verificate ; si crea una gran confusione, anche gli esperti sono costretti a un lavoro di fact checking continuo; Anna Piunova, editor capo di mountain.ru ha fonti dirette nei soccorsi, alcune fonti pakistane sono estremamente confuse e non controllate , la narrazione dei fatti spesso contrasta, anticipa o è differente da quella , ufficiale, gestita dallo Staff di Daniele Nardi .
La notizia suscita grande clamore e va in prima pagina sui media mainstream, sui social accade uno scontro, accorrono orde di commentatori che seguono le stesse (orrende) dinamiche di giudizio sprezzante, di biasimo per gli alpinisti sconsiderati, e si accendono le tifoserie anche tra seguaci, più o meno attenti, dell’alpinismo.
Va detto che la scelta di Daniele Nardi, di instaurare un rapporto continuo di reportage video e news con “Le Iene”, drammaticamente rivela un effetto clamoroso di “backlash” : verrebbe da dire nomen omen (riferendosi alle…Iene ) , la massa in cerca di sensazionalismo e liti virtuali si affolla, in un bruttissimo spettacolo, nelle pagine social della suddetta trasmissione, per debordare – condivise, rilanciate, ribadite, travisate – con un eco enorme in tutto il mondo.
E naturalmente, sin dai primi giorni, quando ancora la speranza di trovare i due in vita era concreta, famosi alpinisti ed esperti vari rilasciano a catena, tra mezze smentite, risposte a terzi, etc., interviste, ipotesi tragiche, vere e proprie prese di posizione durissime sulla scelta di provare una via “quasi suicida”. Ma su questo torniamo dopo.
Ognuno dice la sua, diffamazioni, insulti, sberleffi, liti tra amici, indignazione da quattro soldi per i “soldi buttati via” per i soccorsi.
La figura di Daniele Nardi è in primo piano, d’altra parte lo scalatore romano ha sempre dovuto lottare per il riconoscimento del suo alpinismo, oggetto di critiche, figura istrionica e piena d’entusiasmo, tendeva a una certa drammatizzazione nei suoi racconti per le Iene ; saltano fuori tutte le vecchie polemiche con Moro, con Messner (vedi di seguito) . Tom Ballard, nonostante nell’ambiente sia considerato un fuoriclasse ed esperto su pareti difficili e pericolose sulle Alpi, viene marginalizzato – lui timido, introverso, riservato, schivo – e spesso ridotto al “giovane fuorviato” dal più esperto e abile Nardi in una impresa con incognite elevatissime su terreno a lui completamente sconosciuto.
Eppure, in tutto questo, succede anche un’altra cosa, degna di nota : una gran massa di persone finanziano il crowdfunding lanciato dalla famiglia e dagli amici di Ballard e Nardi, per le ingentissime spese degli elicotteri militari “a noleggio”. Vengono raccolti quasi 150.000 € in pochi giorni.
Una volta avvistati e riconosciuti i corpi sulla parete, il finale e triste banchetto di sciacalli, di cui accennavamo prima, si compie, in improbabili analisi, impietose esposizioni di ipotesi più o meno macabre e ben poco rispettose del dolore e lutto terribile per le famiglie coinvolte, e presenti sui social.
Poi ci sono le prese di posizione dei grandi alpinisti, e nasce una contrapposizione che esula quasi dalla specificità della vicenda e dello scenario per “volare” sul terreno del cosa è possibile, cosa impossibile ora ma fattibile domani e cosa , invece, secondo alcuni, non andrebbe mai fatto né scelto da un’alpinista saggio, l’alpinista che vuole invecchiare ( citiamo il grandissimo Riccardo Cassin, praticamente: il grande alpinista è l’alpinista vecchio, e quindi vivo ).
E’ un capitolo a parte, che trattiamo di seguito, partendo dai due più famosi e autorevoli alpinisti italiani.
Le dure posizioni di Messner e Moro
La posizione di Reinhold Messner sulla possibilità di scalare una via sullo Sperone Mummery era nota da qualche anno: in occasione di un incontro a Trento, affrontò piuttosto duramente Daniele Nardi, dicendogli :“salire sullo sperone Mummery non è un atto eroico, ma è stupidità”. Non arriva da nessuna parte, non è difficile ma il rischio non è gestibile ; è solo un imbuto di valanghe, in succo questa la sua posizione.
Va ricordato, a chi non conosce nei dettagli la storia personale del fuoriclasse altoatesino, che suo fratello Gunther fu ucciso da una valanga proprio al termine dello Sperone, già sul ghiacciaio , a quota 5500 metri circa, quasi al salvo dopo la incredibile scalata della parete Rupal col fratello, e la drammatica ritirata per la sconosciuta parete Diamir. Questa vicenda, nel 1970, segnò Messner per decenni, che fu travolto da polemiche. Messner è poi tornato per la sua celebre solitaria lungo una nuova via sul Diamir, che saliva a lato del Mummery ; infine, per recuperare i resti del fratello, restituiti dopo trent’anni dal Ghiacciaio, confermando finalmente la verità urlata e contestata da tanti.
Messner, nel corso delle ricerche sul Nanga, è ovviamente stato interpellato e ha rilasciato interviste, articoli sulla Gazzetta, il suo pensiero franco, duro e diretto: secondo lui, per quanto abbiamo compreso dalle parole pubblicate, Tom Ballard, fuoriclasse ma senza esperienza sulle grandi montagne oltre gli 8000 metri, è stato trascinato nell’ossessione senza senso di Daniele Nardi, “buon” alpinista ma secondo Messner artefice del quasi suicidio dei due, affrontando una via con troppi pericoli oggettivi e “che non portava da nessuna parte”.
Poi è stata la volta di Simone Moro , “Winter Maestro”, indubbiamente uno dei più grandi alpinisti sugli 8000 , unico al mondo con ben 4 prime invernali .Da una prima dichiarazione di speranza e fiducia, presto confessa il timore per i due, dicendo che la sua sensazione e la logica dicevano che fossero morti sepolti da “tonnellate di ghiaccio e neve” , colti da una valanga.
Questo attorno alla fine di Febbraio e i primi di Marzo.
Poi le polemiche sotto il suo profilo Facebook, con accuse risalenti agli screzi del 2016, vista anche la ricorrenza della Prima Invernale proprio sul Nanga, con diffamazioni vere e proprie, violente e categoriche affermazioni di disumanità e indelicatezza ; è comprensibile che l’alpinista ne rimanga molto amareggiato e innervosito ; Simone Moro però decide di chiarire, in modo ancora più netto e duro, se possibile, la sua posizione rilasciando una intervista al notissimo Desnivel , magazine spagnolo di alpinismo molto autorevole e serio , e sostanzialmente dice che Nardi è stato ossessionato da una via “quasi suicida”, “se in 125 anni nessuno l’ha affrontato e scalato c’è una ragione, è troppo rischioso”, “Messner ha scritto che [Nardi,NdR]si è suicidato.Ho scritto la stessa cosa di Messner, molte persone mi hanno chiamato e confessano che anche loro pensano la stessa cosa, ma la differenza è che io lo dico e gli altri lo pensano solamente”.
E anche il monito rivolto ai “giovani alpinisti”, dicendo in sostanza che la sua posizione scomoda era per lui necessaria come educazione a prendersi rischi si, ma non sfidando apertamente una via per lui nemmeno importante tecnicamente ma che è illogica e rappresenta praticamente una roulette russa.
Superarla “non porterebbe nulla alla storia dell’alpinismo”.
Simone Moro, in qualche modo, suggerisce che Tom Ballard si sia lasciato convincere a seguire un sogno non suo, senza consapevolezza diretta – a dire di Moro – che lo stesso bergamasco, “in quasi un anno al Nanga”, aveva sviluppato vedendo cadere valanghe colossali, continue, inesorabili, inevitabili lungo l’imbuto del Mummery.
Sempre su Desnivel, Simone Moro sottolinea che la speranza e l’invio di soccorsi a piedi è folle e che non dovrebbe succedere di mettere a rischio altre vite. “E’ ormai evidente che i due sono sepolti sotto tonnellate di ghiaccio”.
Simone Moro diventa il centro del dibattito “laterale”, mentre Alex Txikon è ancora impegnato duramente nelle operazioni “SAR” (Search and Rescue), escono interviste, rilanciate, modificate , mal titolate, e anche interventi televisivi, ulteriori precisazioni sui social : quasi come l’avesse previsto, arriva una tempesta su di lui, uno schieramento contrapposto di esperti e meno esperti d’accordo con la sua dura e razionale posizione e quelli che lo accusano di insensibilità, di supponenza, di inopportunità nel parlare di un’alpinista con cui ha sempre discusso e che apertamente non ha ritenuto degno di fiducia, fatto scritto nero su bianco dallo stesso Moro col libro sulla scalata invernale al Nanga Parbat.
E’ da notare che le violentissime accuse verso Moro sconfinano nella vera e propria diffamazione, nell’ingiusta valutazione di chissà quali invidie, in insinuazioni velenose su passato e presente, che scatenano – a nostro modo di vedere, e ne abbiamo anche brevemente discusso con lo stesso Moro, privatamente – una reazione comprensibile ma un po’ nervosa del bergamasco, fino al ritrovamento dei corpi dei due – che smentiscono tutte le ipotesi “altamente probabili” (che, a dir il vero, un po’ tutti gli esperti e meno esperti, compreso il dilettante che è il sottoscritto, avevano temuto) di valanga che li avesse spazzati via subito, la notte o al massimo il mattino dopo la scomparsa. Appare quasi certo che siano morti a breve distanza temporale dell’ultimo loro contatto del 24 Febbraio, ma non a causa di una valanga. Una caduta mentre allestivano o discendevano corde fisse, in zona C4, o il maltempo che li ha bloccati in discesa, portandoli alla morte per ipotermia , sono le ipotesi che trapelano anche da Alex Txikon.
Simone Moro, una volta individuati i corpi dei due, rilascia intervista al Corriere del Trentino che genera ancor più rumore, cortocircuito di interpretazioni e polemica, oltre ad essere rilanciata travisata o mal riassunta : apparentemente dichiara che “sta lavorando al recupero” delle salme, mettendosi a disposizione , “dopo un contatto” con lo Staff (o la famiglia?) di Nardi. Si scatenano nuove velenose accuse al bergamasco, poi la smentita di Moro : non ha preso alcuna iniziativa ma è in contatto con le famiglie di Nardi e Ballard e a domanda ha risposto che un recupero potrebbe essere possibile, e che lui si sarebbe messo a disposizione in caso fosse richiesto formalmente.
La polemica si chiude quando il padre di Tom Ballard esprime la chiara volontà di lasciare il figlio sulla montagna. Anche la famiglia di Daniele Nardi conferma la decisione : I corpi non verranno recuperati e rimarranno per sempre sul Nanga Parbat.
Della possibilità di una via lungo lo Sperone Mummery
EDIT IMPORTANTE : Eross Zsolt , scalatore ungherese, è riuscito a scalare molto vicino, e in parte lungo lo Sperone Mummery, fino alla vetta e ridiscendere senza conseguenze (vedi Editor Note. Grazie a Rodolphe Popier, 8000ers.com e Philippe Poulet ). Di questa scalata in solitaria, incomprensibilmente dimenticata e poco conosciuta, stiamo cercando di raccogliere maggiori dettagli. Ma la notizia è interessante . E confermata nelle statistiche di 8000ers.com !
Dichiaro subito che sono rimasto perplesso dal tono e dalla tempistica delle dichiarazioni – che ovviamente hanno guadagnato i titoli e l’attenzione dei media e dei social – sia di Reinhold Messner che di Simone Moro .
L’autorevolezza dei due, la loro conoscenza diretta del Nanga Parbat, la loro infinita esperienza, non possono però costituire argomenti utilizzati per stroncare una discussione sul merito delle loro posizioni.
In particolare, di Reinhold Messner non condivido minimamente l’affermazione, ripetuta, che Tom Ballard sia stato “trascinato” in un’avventura al limite del suicidio perchè “senza esperienza di 8000” . Se questo ultimo punto è vero, Messner non cita i due mesi passati dal duo in Pakistan sul Link Sar. In più, sta parlando di quello che lui stesso aveva visto come “futuro luminoso dell’alpinismo”, un uomo di 30 anni con un curriculum impressionante, non di un ingenuo sognatore, incapace di valutare i rischi. Ricordiamo che Tom Ballard aveva perso suo madre, sul K2.
Ritengo che il tempismo di queste dichiarazioni, sia stato, tra le altre perplessità, il punto più critico e discutibile.
Per quanto riguarda la posizione di Simone Moro, un punto che non ho capito né condiviso è il dichiarato intento “educativo” verso “i giovani alpinisti” , il suo volerli mettere in guardia dal trattare Nardi e Ballard come “esempio” ;il suo timore che il clamore e il trattarli da “eroi” potesse spingere altri .
Mi chiedo: quanti e quali giovani alpinisti, senza esperienza, verrebbero spinti al provare il Mummery , sulla base della narrazione dei media o dello stesso Nardi, avvenuta nel passato ? Leggendone sui social, poi ? Siamo sicuri che fosse necessario dirlo durante le ricerche ?
Infine il dubbio che esprime il sottoscritto ( in compagnia di altri, ben più esperti e titolati – vedi più avanti) è innanzitutto che quella via non sia “quasi suicida”, e che il giudizio – pur competente ed esperto , motivato, razionale, condivisibile per certi versi – sia in contrasto con alcune delle stesse esperienze passate dai due e in generale con molte imprese allora definite suicide o impossibili .
Il rischio – e la scala soggettiva adottata da alpinisti molto differenti tra loro – può certamente essere in qualche modo misurato, ma affermare che se il Mummery non è stato mai scalato in 125 anni c’è una ragione ed è che è solo azzardo e spinta a un quasi sicuro suicidio, e che se nessuno a parte Nardi l’ha voluto affrontare è perchè NON va tentato perchè è una sfida folle e sostanzialmente inutile, è un’opinione, non una certezza supportata da dati oggettivi, numerici, osservazioni, eccetera.
Non riesco ad essere d’accordo anche quando Moro definisce una possibile via sul Mummery “nulla che porterebbe valore aggiunto alla storia dell’alpinismo”.
Tra parentesi – e attenzione, non c’entra nulla Simone – è parecchio circolata , in molti degli articoli letti sui media, la frase “d’altra parte il Mummery ha ucciso tutti quelli che ci hanno provato” – e di questo, ahimè, proprio Le Iene e Nardi, nelle presentazioni video sensazionalistiche hanno avuto un ruolo.
Ma questa è un’affermazione assurda, perchè nessuno (e vedremo più avanti i dettagli) lo ha mai veramente affrontato in scalata – a parte Nardi, Revol, Ballard – e l’unico morto nelle statistiche conosciute, prima della tragedia di questi giorni, era stato Gunther Messner in discesa sulla via. Alla base del Mummery, non sul Mummery. E in condizioni spaventose, con i due ai limiti delle allucinazioni, provatissimi, senza acqua cibo e da giorni sulla montagna.
La stessa testimonianza di Alex Txikon, la più autorevole e diretta, dopo i lunghissimi giorni di osservazione e studio via drone nei giorni di Soccorso, via terra, via telescopi è che la via scelta dai due fosse “molto intelligente“, “più sicura di quanto si potesse credere”, e che la zona veramente critica per le valanghe era quella tra C1 e C3. Come sempre sostenuto da Nardi, che dopo anni di studio e assalto a quello Sperone, fatti di osservazioni continue, di ritiri, di tentativi e consultazioni col suo esperto meteorologo e fidato amico Filippo Thiery, aveva sempre detto che sopra i 6400 metri , i pericoli oggettivi per i seracchi potevano essere evitati, in grande parte. E aveva già dimostrato di sapersi ritirare, o di non tentare quando le condizioni apparenti erano di bel tempo. Su questo consiglio la lettura della toccante lettera che Filippo Thiery ha voluto scrivere, idealmente, all’amico scomparso.
Del Rischio e dell’ Azzardo : un dibattito aperto per tutti gli Alpinismi
Il dibattito su rischio e azzardo, esulando da questa vicenda e dal suo tragico epilogo, potrebbe essere molto interessante ma va affrontato senza timore reverenziale e affrontando una centrale questione nell’Alpinismo, da sempre: come definire il confine tra rischio, e sua gestione più o meno oculata, razionale e basata il più possibile su dati oggettivi, e l’azzardo ? Come vanno considerati fattori quali l’intuito e la predisposizione personale di ogni alpinista ?
Come poter stabilire criteri il più possibile oggettivi, anche a fronte di personalità alpinistiche così diverse – grazie al cielo ! – tra loro ?
Qualcuno rimproverava, alla luce del Sole e prendendo posizioni così nette, uno come Ueli Steck, che affrontava in velocità, in solitaria , quasi sempre senza protezioni, pareti spaventose e oggettivamente rischiosissime (come la Sud dell’Annapurna , ad esempio ) ?
Lo stesso Simone Moro, quando affrontò con Boukreev l’Annapurna salvandosi per miracolo, o più recentemente il Gasherbrum II con Urubko e Richards utilizzando una finestra brevissima di bel tempo, sottoponendosi a un rischio elevato nella discesa velocissima e nel whiteout, con problemi a ritrovare la traccia, e con tanto di valanga che rischiò di ammazzarli tutti, esattamente in una zona conosciuta per la pericolosità dello scarico di valanghe , avrebbe dovuto essere criticato per l’azzardo ?
Riguardo al Valore di una scalata per la quale si assume un certo rischio, ad esempio : cosa porterebbe di più , alla Storia dell’Alpinismo, il ripetere la via normale sul K2, con corde fisse, in invernale , visti i succitati rischi oggettivi e visto che l’unico fattore “aggiunto” sarebbe il…periodo invernale, per completare la “sfida” ?
Al sottoscritto è evidente che sarebbe comunque un fatto storico . Ogni nuova via su un 8000, di per sé, brutta o bella, rischiosa o meno, rappresenta un evidente e tautologico nuovo fatto storico. Senza giudizio sulla qualità della stessa, sia chiaro.
Non credo si possa , secondo me, fissare alcun criterio dogmatico nel definire la “storicità” di un evento ancora non verificato.
E nell’alpinismo, i primi che scalano un 8000 per una via nuova , che fosse considerata pericolosissima o meno, sono entrati nella Storia. Anche quelli che sono morti nel tentativo: attenzione, non è entrare in un Pantheon, non è un elogiare postumo, è un fatto che rilevo, anche solo riaprendo i tanti libri di Alpinismo storico degli anni passati .
A Reinhold Messner , con il massimo rispetto e stima infinita, farei qualche domanda sulle sue posizioni così nette.
Quando, sotto la enorme e “terribile” parete Sud del Dhaulagiri, decise di “girare i tacchi”, perchè il suo istinto glielo suggeriva, perchè dichiarò che sarebbe stato un suicidio visto il continuo bombardamento di valanghe lungo tutti i suoi canali ? Come mai si presentò personalmente in Slovenia, in aeroporto, ad accogliere e celebrare Tomaz Humar che per primo, in solitaria, l’aveva scalata quasi nella sua interezza ? Perchè allora celebrare un potenziale suicida ? Perchè era sopravvissuto e ce l’aveva fatta ?
Quando ti accusavano di essere un pazzo suicida, perchè arrampicavi senza protezione su pareti con roccia non certo stabilissima (Dolomiti) , oppure quando l’intera comunità scientifica e alpinistica ti irridevano per voler tentare l’Everest senza ossigeno ?
Sono domande e riflessioni ovviamente retoriche, provocatorie, NON accuse !
Vogliono solo suggerire, con esempi (e ce ne sarebbero tantissimi, nella Storia dell’Alpinismo ) una serie di dubbi, rilevare qualche contraddizione al giudizio severo, senza appello, al sogno e alla visione che Daniele Nardi con Tom Ballard hanno perseguito al centro della parete Diamir.
Piccola rassegna stampa
Una interessante riflessione è stata fatta, in questo senso, da Enrico Martinet, storico giornalista di alpinismo della Stampa.
Alessandro Gogna ha pubblicato sul suo blog questi altri due articoli, sulla vicenda.
Una intervista a Romano Benet e Nives Meroi sulla vicenda.
Una toccante riflessione di Elisabeth Revol, compagna di Daniele sullo Sperone nel 2013.
Daniele Nardi e Tom Ballard
Daniele Nardi era nato 42 anni fa a Sezze, provincia romana. Aveva scalato l’Everest con l’ossigeno da Nord, il Nanga Parbat, il Broad Peak, la centrale dello Shisha Pangma e il K2 senza ossigeno (leader della spedizione del 2007). L’Aconcagua . Aveva aperto una via (Telegraph Road) sul Farol West (6340 mt) con Lorenzo Angelozzi, e una cima inviolata di circa 6000 mt in Pakistan. Sul Baghirathi III ,assieme a Roberto Delle Monache, apre una nuova via, incompiuta, di oltre 1200 metri. Sul Nanga Parbat tenta lo Sperone Mummery in solitaria, poi con Elisabeth Revol nel 2013 ; come già detto in precedenza, si aggrega a Txikon e Sadpara e arriva a 7800 metri sulla Kinshofer nel 2015. Nel 2016, con lo stesso team, ha prima un incidente con Adam Bielecki, che si era momentaneamente aggregato e che viene salvato dopo 60 metri di scivolata sul ripido pendio ghiacciato tra C1 e C2 dallo stesso Nardi ; poi cade sul muro Kinshofer per 10 metri, senza conseguenze fisiche : una volta che Moro e Tamara Lunger si aggregano, su invito di Txikon, avviene una rottura dei rapporti di fiducia del romano con tutti, che portano al suo ritiro dalla spedizione. Nel 2017 effettua da leader una spedizione in Pakistan, “Trans Limes”, con Tom Ballard e altri alpinisti, tentando il Link Sar (un 7000 ) per la inviolata parete Nord Est (vedi sotto).
Tom Ballard , figlio di Alison Hargreaves, la grande scalatrice inglese, prima sull’Everest senza supporto e ossigeno, poi morta in discesa sul K2, dopo averlo scalato senza ossigeno, aveva 30 anni. Cresciuto negli ambienti di arrampicata scozzesi e britannici, era poi esploso come fuoriclasse sulle Alpi e sulle Dolomiti, completando l’incredibile sestetto di Pareti Nord in solitaria, in una sola stagione : quella invernale. Aveva ripetuto centinaia di vie difficili, e in più era ai massimi livelli mondiali di dry tooling, disciplina relativamente recente, che utilizza ramponi e piccozza su vie di roccia di difficoltà estrema. Ne aveva disegnate alcune tra le più difficili e celebrate al mondo.
Con Daniele Nardi – e questa spedizione, incredibilmente, è stata pochissimo citata e considerata nel dibattito durante la loro scomparsa – aveva tentato una nuova via a un settemila remoto e inviolato, il Link Sar (sulla parete opposta, c’era contemporaneamente il team del grande Steve Swanson, leggendario alpinista americano ; Nardi, una volta saputo della presenza degli americani, e dopo averli cordialmente incontrati con Tom, aveva volto il suo sguardo alla parete Est ) . I due, dopo aver aperto una via di allenamento, eppur lunga centinaia di metri su una stupefacente cima innominata, avevano lottato giorni per aprire oltre 1400 metri di sviluppo verticale di una via tra il difficile ghiacciaio che portava al muro finale, dai 5900 metri fino in cima, di verticalità , granito e ghiacci. Le valanghe e il maltempo avevano interrotto il tentativo dei due a poco più di 6100 metri.
Una esperienza che aveva comunque cementato una grande intesa tra i due, così differenti sia caratterialmente che tecnicamente. La prova generale, qualcuno ha scritto, del team per provare lo Sperone.
Ed è Tom Ballard, anche in una intervista rilasciata al TG3 e rilanciata in questi giorni, che parlava della sua libera e convinta scelta di provare il Mummery: “Daniele, se parti e fai la spedizione, io ci sono: proviamo !”
Fonti e ringraziamenti
Anna Piunova , capo redattore mountain.ru su profilo Facebook
Elena Laletina, editor russianclimb.com , profilo Facebook
Alessandro Filippini , profilo Facebook, Gazzetta Dello Sport e blog
Reinhold Messner, Gazzetta Dello Sport
Mohammad Ali Saltoro, Atta Ullah, Karim Hayat (dal Pakistan )
Daniele Nardi , Simone Moro, Alex Txikon, profili Facebook
Filippo Thiery , profilo Facebook
8000ers,com grazie al genio di Eberhard per le statistiche e tutto , Rodolphe Popier Himalayan DB
Si ringraziano Karim Hayat, Ali Saltoro, Emilio Previtali, Simone Moro, Alessandro Filippini, Filippo Thiery ,Rodolphe Popier, Philippe Poulet , Manu Rivaud , Anna Piunova, Elena Laletina , Luca Calvi , Filippo Goria, per i suggerimenti, le discussioni, lo scambio di informazioni
Un particolare ringraziamento va ad Alessandro Gogna per i preziosi consigli e il supporto morale.
Questo articolo è anche su http://www.sherpa-gate.com
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