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E’ morto a 91 anni Cesare Maestri, leggendario alpinista italiano
Cesare Maestri, il leggendario scalatore italiano e il “Ragno delle Dolomiti”, è morto a 91 anni a Tione di Trento.
“Questa volta Cesare ha firmato il libro della vetta della sua scalata della vita”, ha scritto ieri, 19 gennaio 2021, sui social Gianluca Maestri, figlio di Cesare.
Il giovane Cesare Maestri – foto P.Melucci
Nelle ore successive, sotto il post di Gianluca e su altri ricordi nei social network, si è accumulato un’enorme afflusso di cordoglio, affetto e di ricordi: commenti scritti da persone che scrivevano quanto dovevano a Cesare il loro amore e rispetto per la montagna, oppure il ricordo di bambini affettuosamente accompagnati in montagna sotto la sua paterna e gentile guida. Dopo aver smesso di arrampicare – ma solo “pubblicamente” nel 1978 – Maestri, oltre a dedicarsi all’amata moglie Fernanda, al figlio Gianluca e alla nipote Carlotta, ha trascorso lunghi anni scrivendo, insegnando educazione ambientale e guidando i bambini sui sentieri e dando lezioni di arrampicata sulle Dolomiti. Era un punto di riferimento solido e amato a Madonna di Campiglio, con la Bottega di famiglia. Si intratteneva volentieri con la gente, umile, cordiale e generoso.
Maestri è diventato famoso in tutto il mondo anche per le polemiche che circondano le salite sul Cerro Torre in Patagonia, ma i suoi innumerevoli exploits sulle Dolomiti lo rendono una figura di assoluto spicco nell’arrampicata mondiale. Ha scalato circa 3.500 vie nella sua vita, un terzo delle quali in solitaria.
Le Dolomiti furono il suo palcoscenico: nel 1950, all’età di 21 anni, irruppe in scena salendo in solitaria la Via Preuss al Campanile Basso. Famose in tutto il mondo le sue prime solitarie della Via Solda-Conforto (5.9 A2, 650 metri) sulla Marmolada e della Via delle Guide al Crozzon di Brentawas, entrambe nel 1953. Scende in solitaria fino al VI UIAA (5.10 circa) sul Crozzon di Brenta e sul Sass Maor. Nel 1954 completa una traversata in solitaria dell’Ambiez-Tuckett (16 vette in 18 ore), con difficoltà fino al VI grado. Ha effettuato una salita invernale in solitaria della cresta sud-ovest del Cervino. L’elenco potrebbe continuare.
Maestri nacque a Trento, in Italia, nel 1929, in un quartiere chiamato Casoni, dove da bambino iniziò a scalare i muri degli edifici e dei pali della luce, rimediando cadute, graffi e visite ospedaliere. In una videointervista a Nereo Pederzolli, Maestri rideva ricordando un medico dell’ospedale che chiese a suo padre Toni : “Che fine ha fatto il piccolo Cesare? È una settimana che non lo vediamo in ospedale, è malato o cosa? “
Entrambi i suoi genitori erano attori itineranti. Sua madre morì quando aveva 7 anni, lasciandolo alle cure di suo padre, Toni. Nel 1943, una condanna a morte fu emessa nei confronti di Toni dall’autorità tedesca di occupazione e la famiglia fuggì a Ferrara, città natale della moglie. Quando, qualche tempo dopo, la polizia fascista fu incaricata di arrestarlo, la famiglia tornò a Trento e il giovane Cesare si unì ai partigiani che combattevano contro i tedeschi.
Dopo la guerra il padre di Cesare lo mandò a Roma per studiare storia dell’arte. Lì si dedicò alla politica con il PCI ma, dopo due anni a Roma, rinunciò agli studi e alle passioni politiche – lui così anarchico, libero , irrequieto – e fece rientro a Trento. Fu allora che Cesare iniziò a scalare, un modo per sfuggire agli stress terribili che si portava dietro dalla guerra e dal suo non riuscire a collocarsi in società in ruoli troppo soffocanti per lui.
Ben presto, il suo talento naturale ed esplosivo nell’arrampicata lo vide ripetere – e spesso in solitaria – vie storiche e difficili sulle Dolomiti. Nello stile di Paul Preuss, ne ha discese la maggior parte senza corda e protezioni, in solitaria, dopo essere salito in cima. Ha aperto nuove vie difficili che hanno aperto nuovi orizzonti nel Sesto Grado (UIAA grado VI).
Maestri era un innovatore, insofferente per le regole, curioso e in poco tempo iniziò una nuova fase nel suo stile di arrampicata. Con un clamoroso “salto di stile” si dedicò all’arrampicata artificiale, portata all’estremo, inventando soluzioni, nuovi attrezzi, in un groviglio di staffe, corde, chiodi, scalette affrontava difficoltà impossibili allora in libera, con ostinazione. Le Direttissime , cioè vie a piombo sulle pareti, senza seguire le naturali conformazioni più logiche della roccia, diventarono il suo terreno di gioco.
Così all’interno dell’arrampicata di Maestri è esistita un’apparente contraddizione: da un lato amava lo stile puro di Preuss, ma dall’altro abbracciava le tecniche di arrampicata artificiale estrema. Questa dicotomia incarna il carattere vulcanico, contradditorio eppur così libero di Cesare Maestri.
Gianpaolo Motti, grande alpinista e scrittore italiano, ha scritto nel secondo volume del suo libro, Storia dell’alpinismo:
Maestri è ambizioso, narcisista, polemico, geloso, invidioso, sensibile, intollerante con chi è più forte di lui, permaloso. Ma allo stesso tempo è generoso come pochi sono, semplice come un bambino, forse ingenuo, sensibile al punto da essere ferito da uno spillo, deluso da certi valori in cui crede e che forse non esistono.Quando Maestri ha iniziato ad arrampicare, voleva essere il più forte ed era ansioso di dimostrarlo. Ha fatto una spettacolare serie di salite solitarie, compiute sulle vie più ardue delle Dolomiti, spesso svolte senza alcuna protezione, degne del maestro Preuss. … In effetti, si può senza dubbio dire che è stato uno dei più forti alpinisti del dopoguerra.Amava essere personaggio , si attribuì e fece relazioni drammatiche e abbellite delle sue salite, tanto che per il grande pubblico divenne noto come il” Ragno delle Dolomiti “. Eppure se c’è un personaggio simpatico, è Cesare Maestri. La sua rabbia, le feroci polemiche, gli atteggiamenti dittatoriali, le reazioni infantili, lo rendono troppo umano per definirlo sgradevole. Purtroppo Maestri ha sempre prestato la sua parte alle provocazioni e si è trovato a giocare, senza rendersene conto, il gioco di chi lo provocava.
I risultati di Maestri sono stati in gran parte oscurati da una serie di polemiche, iniziate con la sua salita al Cerro Torre del 1959, realizzata con l’asso dell’arrampicata su ghiaccio Toni Egger e Cesarino Fava. Fava ha assistito gli altri due fino al primo nevaio, poi è sceso al campo base in attesa che finissero la salita.
Là Fava aspettava e aspettava. Sei giorni dopo non c’era traccia dei due uomini. Finalmente, un giorno, già temendo la morte dei suoi amici, mentre stava per abbandonare il campo, Fava notò Maestri disteso nella neve sotto la parete est del Cerro Torre. Maestri affermò di essere salito con Toni Egger in vetta al Cerro Torre – un’impresa storica – e che, durante la discesa, Egger fu spazzato via da una valanga.
Presto arrivarono dubbi sull’affermazione di Maestri secondo cui lui e Egger avevano raggiunto la vetta del Cerro Torre. Le accuse più forti arrivarono da Carlo Mauri, grande scalatore dei Lecco Spiders, compagno di Walter Bonatti nella prima salita del Gasherbrum IV nel 1958, e in qualche modo “rivale” già in Patagonia nella spedizione con Bonatti che si concluse con il ritiro dal Cerro Torre, definito “impossibile” da Mauri (accusando di fatto Maestri di non averlo salito).
Maestri presto si trovò, rispondendo inizialmente con sdegno , in un turbine di feroci polemiche contro il crescente coro di detrattori , nel decennio successivo, e tornò al Cerro Torre nell’inverno del 1970, trasportando quello che divenne un famigerato trapano- compressore da 60 chilogrammi alimentato a gas, nel tentativo di mettere le cose in chiaro e mettere a tacere i critici. Voleva dimostrare che anche quella parete era scalabile. Quella stagione, Maestri e i suoi compagni combatterono in Inverno contro il maltempo sul Cerro Torre per 54 giorni, salendo per 600 metri sulla parete sud-est, prima di mettere in pausa il loro assedio. Tornati di nuovo in primavera, chiodando la parte alta della loro nuova via con il compressore, Maestri lasciò centinaia di chiodi a breve distanza, anche su punti apparentemente non necessari. Si fermò verso la fine del muro di roccia, rifiutando di scalare l’ ultimi fungo di ghiaccio e rime fino alla cima. Maestri lasciò il compressore ancorato alla parete e durante la discesa distrusse alcuni dei suoi stessi spit in un gesto iconoclasta e oltraggioso.
Negli anni a seguire, Maestri ha difeso le sue dichiarazioni, in seguito si è rifiutato di parlare sulla sua salita dichiarata nel 1959 del Cerro Torre, che non è più riconosciuta valida dalla comunità alpinistica, sulla base di una serie di indagini di fotografie e confronti delle descrizioni dei percorsi di Maestri e delle successive ascensioni del percorso dichiarato. Nel 2012, gli alpinisti americani Hayden Kennedy e Jason Kruk hanno distrutto oltre 100 spit dalla Via del Compressore dopo aver completato la prima salita discreta della parete sud-est , causando plauso di una parte della comunità alpinistica e contemporaneamente grande sdegno dalla comunità locale (furono bloccati e mandati via da El Chalten) e da altri alpinisti, una questione che si è trascinata per anni.
Nel 1978 Maestri decide di abbandonare definitivamente l’arrampicata. “Il miglior scalatore è [quello] che muore nel suo letto”, come Maestri ricorda nella sua video intervista a Nereo Pederzolli citata sopra.
Tragicamente, la controversia sul Cerro Torre ha imbrigliato Maestri come.. un ragno intrappolato nella sua stessa tela.
Io stesso sono stato , a suo tempo, sconcertato e sfiduciato dalle affermazioni, dalle relazioni sul Torre di Maestri ; dalla lettura delle relazioni di Garibotti, Ermanno Salvaterra, il libro di Kelly Cordes
Ma a un certo punto, approfondendo le mie letture, allargando lo sguardo a una vita così ricca e complessa, e non sopportando più le ossessive “analisi” sull’affaire Torre, esattamente con la schiodatura del 2012, ho sentito che era stato veramente passato un limite . Dal cancellare la toponomastica del “colle della conquista”, all’insulto con la via “Diretta della Menzogna” (!), all’ossessione di andare a cercare “la vera causa e il punto dove è morto Egger” (!) e all’insultare con definitivo giudizio un uomo, un’alpinista, senza aver mai tentato di empatizzare con l’immensa tragedia che visse con Egger. Arrivare, anche pochi anni fa, ad accanirsi e chiedere di dire “tutta la verità” a un uomo ultra ottantenne, ritirato dall’alpinismo da anni, omettere un periodo importante della sua vita di cui questi detrattori nulla sapevano, nulla hanno cercato di capire. Così come liquidavano sempre, in capziose premesse, “certo, un’alpinista importante, bravissimo ma” la sua luminosa carriera alpinistica e il suo essersi dedicato agli altri, il suo essere stato soccorritore, compagno di cordata, guida generosa.
Maestri si è ritrovato letteralmente a essere il capro espiatorio di un alpinismo che ha scheletri nell’armadio come in ogni attività umana : la sua scelta, dopo le prime sdegnose battaglie, è stato un libero, insindacabile, intimo silenzio.
La sua molto criticata Compressor Route è stata completata in vetta per la prima volta dagli alpinisti americani Jim Bridwell e Steve Brewer nel 1979. Durante il Festival di Trento alcuni anni fa, Luca Signorelli, un mio caro amico, ha avuto l’opportunità di parlare brevemente con il leggendario Bridwell.
Riguardo alla ripetizione del percorso del compressore, ha chiesto a Bridwell: “Era una via senza senso, con tutti gli spit? Ha ricordato che Bridwell ha risposto:” Nah, è una salita fottutamente brillante. Grandi tiri, grandi movimenti. L’ho amata !.”
Maestri e Messner, Trento Film Festival 2015 (A.Filippini)
Alessandro Filippini, giornalista italiano veterano di alpinismo, ha ricordato in un post su Facebook che Reinhold Messner, a sua volta accusatore di Maestri sulla sua salita al Cerro Torre del 1959, ha detto ,nel 2015:
“Al di là dei grandi meriti per le sue tante salite e per i suoi tanti “assoli” da ottimo arrampicatore, va ricordato che, essendo una persona che parlava apertamente, Maestri ci ha permesso di aprire una discussione seria sullo sviluppo dell’alpinismo. Ci sono persone che dicono la metà di quello che pensano e non consentono il confronto aperto. Cesare era esattamente l’opposto. “
Nel mio viaggio personale, leggendo e imparando a conoscere questo personaggio incredibile e complesso, le seguenti straordinarie righe, un vero e proprio manifesto di libertà sono quelle che serberò più care , perchè catturano la sua anima , la sua contraddizione, il suo essere uomo, imperfetto, come tutti ma con un ideale fortissimo di eguaglianza:
Sono sempre stato un sostenitore del principio secondo il quale ogni alpinista dovrebbe essere libero di andare in montagna come vuole: giorno o notte, con i pioli o senza, per trovare Dio o negarlo, per conforto o disperazione. In questo modo ne avremmo tanti per di alpinismo in quanto vi sono persone che vanno in montagna e nessuna singola forma precluderebbe o attenuerebbe nessuna delle altre. L’idea di “Questo non è alpinismo solo perché è diverso dalla mia definizione” è un atto di intolleranza molto presunzione che umilia tutto il nostro sport. … Analizzando l’alpinismo, ho cercato di scoprire quali fossero i mali che lo minacciano, rendendomi conto che sono gli stessi che minano la nostra società: intolleranza, ignoranza, autoritarismo, bigottismo. Oggi, il confine tra permissività e libertà è così sfumato che rasenta l’abuso e l’arbitrio … Siamo tutti guidati da un unico ideale, fare della società di oggi un insieme di uomini con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Ecco perché ho scalato e perché continuo a salire.
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