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Domenica 24 Febbraio alle ore 14:28 italiane, l’ultima comunicazione di Daniele Nardi: “abbiamo scalato lo Sperone fino a circa 6300 metri, ora siamo scesi in tenda a C4, 6000 mt. Siamo stanchi, il tempo non è buono, raffiche di vento, nevischio. Domani decidiamo come proseguire“.
Da allora il satellitare, la radio tacciono. Dopo 2 giorni una macchina di soccorsi difficile, enorme, piena di solidarietà si è messa in moto; i team sul K2 si sono offerti di aiutare ; Muhammed Ali Sadpara, compagno di Nardi in passato e primo salitore invernale del Nanga, è volato al Campo Base, ha fatto ricognizioni in elicottero e a piedi a C1. Nessun segnale, solo tracce di valanghe.
E’ ormai passata una settimana e le speranze di ritrovare vivi i due forti alpinisti sono ormai nulle.
Stamattina, 4 Marzo 2019, Alex Txikon e il suo team compresi 2 alpinisti e un dottore sono riusciti ad atterrare al Campo Base del Nanga Parbat. Alex ha con sé droni per l’estrema ricerca di qualche traccia dei due.
E’ opinione di molti che un evento tremendo e immediato abbia posto fine al tentativo di scalata dello Sperone Mummery, noto per il pericolo rappresentato dai seracchi sovrastanti, che come lingue si affacciano dal plateau, e spazzano lo sperone con blocchi “grandi come grattacieli” (Messner).
Sui social media, la settimana di Ricerca e Soccorso è diventata teatro di offese, recriminazioni, disprezzo, accuse al Pakistan, accuse agli alpinisti, accuse ad altri alpinisti, uno spettacolo orribile mentre le famiglie di Daniele e Tom soffrivano e seguivano le frenetiche comunicazioni, che si accavallavano da fonti russe, polacche, italiane, pakistane tra smentite, speranze, atti di coraggio .
Bisognerà affrontare ,a freddo, quanto è accaduto , su tutti i fronti : più che quello alpinistico, quello umano.
E forse anche grandi alpinisti , in buona fede e in questo comprensibilissimo momento emotivo, avrebbero potuto evitare certi toni, certi giudizi, certe convinzioni tranchànt anche solo sulla decisione di Nardi e Ballard nell’affrontare lo Sperone.
Daniele Nardi era il massimo conoscitore dello Sperone, l’ha osservato e salito fino a 200 metri dall’uscita (assieme ad Elisabeth Revol, l’unica altra alpinista al mondo ad averne scalato oltre 700 metri , dai 5700 dello zoccolo di partenza. Non era uno sprovveduto ; in coscienza, come ha notato Simone Moro, era convinto vi fosse la possibilità di mitigare ed evitare i rischi dei seracchi.
Il rischio era altissimo, Nardi e Ballard lo sapevano ; così come lo è stato per le migliori – e ritenute impossibili – imprese di alpinismo eplorativo e di ricerca.
Parlare di “ossessione” e “suicidio” , oltre che irrispettoso nel momento, ci sembra francamente inutile e fuori luogo. Semplicemente, fuori luogo.
Per ora ci limitiamo a pubblicare un paio di foto emblematiche, di quel tentativo del Gennaio 2013, giunto ai 6450 metri :
In questo momento doloroso, in cui forte è la tentazione di fuggire lontano dal parlare di alpinismo, in cui l’amarezza nel vedere che l’odio e la divisione sporcano e offendono donne e uomini che seguono dei sogni, apparentemente inutili e rischiosi, è bene tornare a ciò che ha acceso in noi la scintilla della passione per la Montagna e le storie di chi la sceglie.
Ricordiamoci che il giudizio sommario e la superbia di chi ti urla “è impossibile” si scioglie inesorabilmente come un ghiacciaio nel corso del tempo…
*** Dedicato a Daniele Nardi e Tom Ballard ***
ecco dove torno con lo sguardo, carico di lacrime, rabbia, impotenza e amore.
1961: Nonno Alfonso e Walter Bonatti osservano soddisfatti la stampa de “Le mie montagne”, primo volume della fortunata collana “Montagne” di Zanichelli diretta da Walter e curata editorialmente da nonno, che pubblicò poi il secondo volume “Il Grande Cervino” (Bernardi,1963) , “I 14 Ottomila” (Fantin,1964), “Il Monte Bianco” (Bernardi,1965) e i libri di Kurt Diemberger “Tra zero e ottomila” (1970), “La Grande Civetta” (Bernardi,1971) e Gaston Rebuffat “Ghiaccio Neve Roccia” (1972)
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