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Roberto Delle Monache: il mio alpinismo, il mio amico Daniele Nardi e la via sul Baghirathi
Roberto Delle Monache è un alpinista abruzzese…”appenninico” : cresciuto sulle montagne di casa, il Gran Sasso.
Come il suo grande amico Daniele Nardi, proviene dall’Italia Centrale. Persona riservata e sensibile, ha affrontato nella sua carriera vari infortuni ma continuando a perseguire un alpinismo leale e a sviluppare una grande esperienza di alte quote. Con Daniele Nardi ha ideato e creato una linea sulla parete Ovest del Baghirathi III ,tra imponenti muri di scisto e ghiaccio, terreno di sfida per gli alpinisti più esperti, che secondo me rappresenta il punto più alto della sua carriera e di quella di Daniele Nardi.
Per questa via, i due hanno vinto il prestigioso Premio Consiglio, assegnato dagli Accademici del CAI , e ricevuto una nomination per i Piolet D’Or. E’ una via “incompiuta”, non hanno raggiunto la vetta: ma per come è stata scalata e discesa dai due, è una summa di creatività, improvvisazione, tenacia, tecnica e amicizia alpinistica su una parete iconica per ogni alpinista d’alta quota.
Dopo la morte di Daniele Nardi sullo sperone Mummery, assieme a Tom Ballard, Roberto Delle Monache non ha mai voluto partecipare a incontri, conferenze, commemorazioni per sua intima scelta; il dolore provato, che espresse al tempo con una scarna e commovente dichiarazione, non ha mai voluto esternarlo in pubblico.
Roberto, da sempre, è un’alpinista schivo e umile. Scala per amore di scalare, senza alcun altro fine. Ricordo di averlo “visto” per la prima volta nel video di Nardi, diretto da F.Santini “Verso l’ignoto”, in occasione di uno dei tentativi allo sperone Mummery del Nanga Parbat. Roberto appare umanissimo, e ben presto rinuncia alla scalata, per problemi alla schiena e perchè evidentemente non se la sentiva. (Incredibile che quell’anno, il 2015, questa rinuncia di Roberto finì per portare Daniele Nardi ad aggregarsi, su invito, al team di Alex Txikon e Ali Sadpara che tentava l’invernale sulla via “normale” Kinshofer. I 3 arrivarono a 200 metri dalla vetta e si ritirarono per l’errore di Ali Sadpara nel trovare il canalone giusto e per le sue condizioni fisiche problematiche.)
Così, il fatto che per la prima volta Daniele , su mio discreto invito, in occasione del suo compleanno nel mese di Luglio, abbia accettato di ricordare quella esperienza e parlare del suo amico Nardi, rappresenta un momento di elaborazione del lutto e nello stesso tempo di celebrazione di una vera amicizia sulle montagne. E’ con grande piacere, e commozione, che vi propongo il suo racconto.
Il racconto di Roberto : su Daniele, assiem sul Baghirathi III
Dopo l’uscita dell’ultimo libro di Daniele, ho declinato tutti gli inviti alle presentazioni, non riuscivo a parlare di quello che è successo intorno al Nanga. Io e Daniele ci siamo conosciuti venti anni fa, e siamo praticamente cresciuti insieme sia alpinisticamente e sia come persone. Eravamo Amici.
Probabilmente ho sbagliato nel non andare a nessuna presentazione, ma purtroppo è stato più forte di me.
Questa è la prima volta che scrivo qualcosa su Daniele e sul nostro rapporto.
La spedizione del 2011 in india è nata un pò per scherzo un pò per caso. Nel 2010 mi hanno ricostruito la spalla destra che mi ero distrutto due anni prima sempre con Daniele al Monte Bianco. A gennaio del 2011 ero in Val di Cogne con amici per cascate di ghiaccio quando mi arriva una telefonata, era Daniele.
Dove sei?
Io gli rispondo che ero a Cogne per ricominciare a scalare un pò.
Allora lui mi dice: “ va bene fammi organizzare un po’ di cose e tra un paio di giorni sto su.”
Dopo due giorni era al parcheggio dell’albergo, e li ha cominciato tutta la sua opera di convincimento. Quando si metteva una cosa in testa andava fino in fondo, alla fine mi ha preso per sfinimento.
Agosto 2011 siamo in India, è stato un viaggio fantastico, ci siamo divertiti. Dovevamo fare tutt’altro ma le condizioni meteo non ci permettevano di scalare su roccia, si era creata una condizione di freddo umido che aveva incrostato tutto di ghiaccio, allora un giorno durante un giro per sgranchire un pò le gambe la nostra attenzione è stata catturata dall’eleganza di una line bianca.
In un attimo siamo tornati al campo base, i siamo organizzati, abbiamo detto all’ufficiale di collegamento che andavamo a vedere quella cosa e che in una giornata massimo con un bivacco fuori poi saremmo rientrati. Il giorno dopo eravamo sulla via. E’ stato un viaggio fantastico! Ci siamo accorti subito che il ghiaccio non era dei migliori, ma abbiamo pensato che con l’aumentare della quota sarebbero migliorate anche le condizioni del ghiaccio, poi la curiosità di vedere dove ci portava quella linea era troppo forte, solo al momento del primo bivacco ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti :” questa volta ci siamo messi veramente nei casini” e ci siamo messi a ridere.
Tutto lo spirito di quella scalata è stato positivo, ci siamo resi conto che il ghiaccio non avrebbe tenuto il peso delle nostre doppie, non avevamo materiale sufficiente per attrezzare soste su roccia, pero sapevamo di avere l’esperienza e la capacita di capire che l’unica via di uscita era verso la cresta e che avevamo i mezzi per farlo. In fondo tra tutti e due li c’erano 20 – 8000 di esperienza. Cosi ci siamo detti! Abbiamo scalato tanto tutti e due, abbiamo risolto problemi e affrontato i pericoli sempre insieme, sempre legati. E nonostante tutto abbiamo continuato a divertirci e a sorridere.
Quando siamo sbucati in cresta erano quasi le 22:30, creata la truna per il bivacco ci siamo sistemati come potevamo, li ci siamo accorti di avere un principio di congelamento a mani e piedi.
Abbiamo preparato una tazza di acqua tiepida a testa e abbiamo mangiato quel poco che era rimasto, erano già 52 ore che eravamo in giro. Anche se eravamo quasi sfiniti e congelati eravamo contenti di aver scalato quella linea bianca lungo una parete di 1200 metri quella linea che ci aveva affascinato dal basso.
IL mattino seguente abbiamo tentato di seguire la cresta per arrivare in cima ma fatto pochi metri ci siamo resi conto che era troppo pericoloso, sul filo di cresta c’era oltre un metro di neve della consistenza dello zucchero.
Abbiamo capito che la cresta era impraticabile sia per arrivare in cima come anche per scendere, essendo anche l’unica via di discesa che ci avrebbe riportato verso il Bhagirathi III e di li poi verso il campo base, allora abbiamo deciso di puntare giù dritti verso la verticalità della parete est con il poco materiale che avevamo.
Quella discesa è stata un’altra spedizione, quando siamo arrivati alla base della parete avevamo nebbia neve e vento forte con una visibilità di meno di 100metri, eravamo scesi dall’altra parte della montagna non avevamo punti di riferimento.
Quelle sedici ore del ritorno al campo base sono state le più dure, sentivamo il peso degli zaini ci facevano male le mani ed i piedi, avevamo bisogno di mangiare bere e dormire. Allora abbiamo deciso di camminare un po’ e di sederci circa 2 minuti, tempo in cui riuscivamo a dormire. Sono state 16 ore molto pesanti.
Quando in piena notte l’ufficiale di collegamento ci vede abbiamo realizzato che ci aveva dati per dispersi. Eravamo usciti per una ricognizione di una giornata e con quello che serviva, alla fine siamo stati in giro per 68 ore in totale isolamento.
In questa avventura la nostra priorità non è mai stata la corsa dietro il risultato, eravamo solo due amici dentro uno parete grandiosa attratti dalla sua eleganza, per me è stata l’esperienza alpinistica più gratificante. Sicuramente ha cambiato il mio rapporto con la montagna e con l’alpinismo, ha sicuramente definito con chiarezza che tipo di alpinista sono. Sono stati tre giorni di grande alpinismo.
Il giorno dopo arriva al campo base la notizia della morte di Walter Bonatti e ci è sembrato giusto dedicargli “Il seme della follia…fa l’albero della saggezza!
Dopo qualche giorno per riprenderci ed organizzare il rientro, con piedi che a malapena entravano nelle scarpe, le mani gonfie e doloranti, malincuore e naso in su per quante altre possibilità di scalata c’erano in quel paradiso di roccia e ghiaccio siamo costretti a rientrare.
Roberto Delle Monache : La mia storia alpinistica
Ho cominciato relativamente tardi nel 94 con amici per curiosità, prima falesie poi le montagne di casa il Gran Sasso, e le prime esperienze in Monte Bianco, Monte Rosa e Cervino.
Nel 98 la prima esperienza extraeuropea Zanskar India Kun 7077, il tentativo si ferma a 6000 metri.
Poi nel 2000 arriva l’Argetina, Aconcagua 6962 metri per il versante dei polacchi, la spedizione va a buon fine.
Durante gli allenamenti x l’Aconcagua ho incontrato Daniele, e nel giugno del 2001 ci troviamo hai piedi del Gasherbrum II 8035 metri, il nostro tentativo finisce x maltempo ma soprattutto per inesperienza a 7400metri.
Nel 2003 Shisha Pangma 8013metri il mio tentativo si ferma 7300metri , unaltra cima mancata x un mio stupido errore.
Tornato a casa durante l’inverno mi sono infortunato al ginocchio destro per una caduta con gli sci, fermo per quasi due anni.
Nel 2006 vado al Cho Oyu 8201 metri il mio tentativo si ferma a campo 2, 7200 metri per un forte dolore al fianco. A questo punto il mio morale era sotto terra, tre tentativi andati male.
A Katmandu incontro Silvio Mondinelli Gnaro, con il quale avevo già condiviso due spedizioni, che mi dice vieni in primavera al broad peak cosi io faccio l’ultimo e tu fai il primo. A primavera facevo il trekking lungo il ghiacciaio del Baltoro e il 12 luglio del 2007 con mille difficiltà metto piede a 8000metri , cima middle del Broad Peak 8040 metri.
Nel 2008 e 2009 giro un pò le alpi con Daniele facedo belle ascensioni tra cui Cresta Hirondelles e Pilone Centrale del Freney, e infortunandomi alla spalla.
2010 sono stato operato alla spalla.
Nel 2011 con Daniele in India Bhagirathi.
Nel 2012 mi sono rotto il legamento crociato del ginocchio sinistro.
E poi nel 2015 Daniele mi chiede di andare con lui al Nanga per dargli una mano con Federico Santini, fotografo cineoperatore e regista del docufilm “Verso l’ignoto”. Io nel mentre ho trovato anche tempo per farmi male anche alla schiena, non dovevo scalare, pero poi mi sono ritrovate sotto lo sperone.
Ho aggiunto anche i miei infortuni perché questi hanno segnato seriamente la mia carriera.
L’autore ringrazia di cuore Roberto Delle Monache.
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