Montagna Magica

[:it]Nanga Parbat : Riflessioni [:en]Nanga Parbat : Impressions[:]

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La brutalità degli avvenimenti sul Nanga Parbat, lo sviluppo frenetico dei soccorsi, la solidarietà sui Social e la contemporanea ondata di polemiche sul senso di queste imprese, sulle accuse e ai dubbi avvelenati, sui costi e sui Governi eccetera.

L’Epopea di Sopravvivenza e delle scelte tragiche, la straordinarietà delle prestazioni umane e alpinistiche, la commozione e la gioia per un salvataggio incredibile.

Il dolore per la morte di Tomek Mackiewitz, così tragica e allo stesso tempo già in corso di elaborazione trasfigurante, il processo collettivo di realizzazione improvvisa della sua figura complessa e contradditoria eppur così pura e spirituale, della sua ossessione e del suo sogno, leggero e innovativo, ascetico, folle.

tomek mackiewitz

“Il Custode del Nanga”, ora lo chiamano : non più il matto, il drogato, lo sconsiderato.

Il rispetto e l’ammirazione per una donna come Elizabeth Revol, capace di sopportare un fardello gigantesco di responsabilità, attaccata alla vita con una determinazione incrollabile, dignitosa e in piedi, rifiutando le stampelle, prima di essere portata in Ospedale. Ora dovrà affrontare le dure conseguenze fisiche e psichiche di un’avventura ai limiti della sopportazione umana, e che già viene assillata sui Media da giudici improvvisati, che reclamano spiegazioni e prove.

L’ipocrisia e l’ignoranza di coloro che urlano rabbia perchè nessuno ha voluto salvare Tomek, ecco credo che queste cose offendano proprio la sua Memoria. Tomek sapeva perfettamente cosa faceva e cosa rischiava. Nelle sei volte precedenti che ha tentato il suo sogno sul Nanga Parbat, aveva sempre dimostrato di sapere quando era il momento di rientrare a valle, di non rischiare inutilmente la pelle. Amava follemente i suoi figli e sua moglie, voleva tornare a casa.

Da quello che sappiamo ha cominciato a star male in vetta, a 8126 metri. Quando Elizabeth l’ha lasciato, la mattina dopo, dopo un bivacco all’aperto a 7500 metri e una discesa disperata fino ai 7200 metri, non era più in grado di muoversi, di vedere e i congelamenti erano gravi. Per quanto fosse un uomo di resistenza straordinaria, sappiamo dalla letteratura medica e dai precedenti, che nel giro di 48 ore la morte è certa, in caso di edema cerebrale, se non si viene curati e portati immediatamente a quota bassa.

Potremo parlare in futuro, e succederà, su quanto fossero adeguatamente acclimatati, sul fatto che la finestra di bel tempo era troppo ristretta, che hanno attaccato la vetta da troppo lontano.

A volte è solo maledetta sfortuna, perchè Elizabeth non solo non ha accusato problemi, ma è sopravvissuta i giorni successivi in condizioni inumane e mortali.

Tomek Mackiewitz ed Elizabeth Revol hanno aperto e completato, in stile alpino, la via iniziata da Messner ed Eisendle sul lato estremo del Diamir, arrivati alla sella a 7500 metri sul Basin , sono scesi davanti al trapezio sommitale, incontrando la via Kinshofer, sono saliti in vetta .

D’ora in avanti parleremo della via Mackiewitz-Revol e di una delle prime invernali in puro stile alpino.

I polacchi. Non si devono spendere troppe parole, come bruscamente ha ricordato Wielicki. “Abbiamo fatto quello che dovevamo fare”. Hanno salvato una vita umana e hanno nobilitato enormemente lo spirito della vera comunità alpinistica, la Brotherhood of Rope.

Dove un russo, poi naturalizzato kazako, poi un po’ italiano bergamasco, poi naturalizzato polacco, è corso incontro a una francese , trovandola al buio della parete e salutandola in inglese “Elizabeth ! Nice to meet you”

denis urubko,eli revol,adam bielecki

 

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The brutality of the events on the Nanga Parbat, the frenetic development of the Rescue Mission, solidarity and crowdfunding on Social and the contemporary wave of controversy over the meanings of these expedition, the accusations and poisoned doubts, about everything, from rescue bills, to rescue strategy, helicopter flights , corrupted governments and so on.

The Epic of Survival and the tragic choices, the extraordinary nature of human and mountaineering performances, the emotion and the joy for an incredible rescue.

The pain for the death of Tomek Mackiewitz, so tragic and at the same time already in process of elaboration and transfiguration, the collective process of sudden realization of his extraordinary, complex and contradictory figure and yet so pure and spiritual, his obsession and of his dream, light and innovative, ascetic, insane.

“The Keeper of the Nanga”, now they call him: no longer the madman, the drug addict, the ill-advised.

Respect and admiration for a woman like Elizabeth Revol, able to bear a gigantic burden of responsibility, attached to life with an unshakeable, dignified and standing determination, refusing crutches, before being taken to the hospital. Now she will have to face the harsh physical and psychic consequences of an adventure at the limits of human endurance, and she is already harassed,through her pages on Facebook by improvised judges on the media, who demand explanations and proofs.

The hypocrisy and ignorance of those who scream anger because no one wanted to save Tomek, here I think these thoughts offend his own Memory. Tomek knew perfectly what he did and what he risked. In the previous six times he tried his dream on Nanga Parbat, he had always shown that he knew when it was time to return to the Base, not to risk his life unnecessarily. He loved his children and his wife madly, he wanted to go back home. But he wanted badly to go there.

From what we know, hestarted to get sick at the top, at 8126 meters. When Elizabeth left her, the next morning, after a bivouac outside at 7500 meters and a desperate descent to 7200 meters, he was no longer able to move, to see and frostbites were serious. Although he was a man of extraordinary resistance, we know from the medical literature and from previous incidents, that within 48 hours death is certain, in case of cerebral edema, if you are not cured and taken immediately to a low altitude.

We could can talk in the future, and it will happen, on how well they were acclimatized, on the fact that the window of good weather was too small, that they attacked the summit from too far.

Sometimes it’s just damned bad luck, because Elizabeth not only did not have problems, but survived the following days in inhumane and deadly conditions.

Tomek Mackiewitz and Elizabeth Revol have opened and completed, in alpine style, the route started by Messner and Eisendle on the extreme side of Diamir Face, arrived at the saddle at 7500 meters on the Basin, they went down in front of the summit trapezoid, crossing the Kinshofer route , then they climbed at the top .

From now on, we will talk about the Mackiewitz-Revol route and one of the first winter in pure alpine style.

The Poles and the Rescue. We do not have to spend too many words, as Wielicki pointed out. “We did what we had to do”. They have saved a human life and have greatly ennobled the spirit of the true mountaineering community, the Brotherhood of Rope. Where a great human named Denis Urubko , Russian, then a Kazakh national, then a little Italian from Bergamo, then a Polish national, ran to meet a Frenchwoman, finding her in the dark of the wall and greeting her in English “Elizabeth! Nice to meet you”

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