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Nella tradizionale e consolidata narrazione di imprese himalayane, lo spazio dedicato agli Sherpa è spesso ridotto ai minimi termini, infarcito di luoghi comuni e sostanzialmente riduttivo, rispetto all’ importanza di questi lavoratori – e sottolineiamo lavoratori – d’alta quota.
Lo stesso termine Sherpa è un termine impreciso, in quanto indica un ben preciso gruppo etnico dell’Himalaya; l’uso si è poi esteso, per semplificazione, a qualunque nepalese che facesse quel prezioso e durissimo lavoro.
Il punto di vista “occidentale” ha risentito della retorica di stampo coloniale e nazionalista, che è stata alla base della letteratura alpinistica almeno fino ai primi anni sessanta, se non oltre: lo sherpa è sempre stato rappresentato come un forte e resistente lavoratore, da pagare il meno possibile, incapace di decisioni autonome e comunque dipinto sempre come gregario, rispetto all’alpinista di cui è solo una semplice guida o a un membro del team.
Ci sono stati, in passato, lodevoli episodi e tentativi di discussione per uscire da questo cliché sul ruolo degli Sherpa, come il celebre caso di Tenzing Norgay, primo uomo al mondo a salire in cima all’Everest assieme a Sir Edmund Hillary nel 1953. Tenzing Norgay divenne una celebrità, girò il mondo per conferenze e inviti, venne lodato pubblicamente e ritenuto fondamentale nella buona riuscita della scalata, fu riconosciuto come co-protagonista da Hillary stesso.
Ma erano, appunto, episodi e strettamente legati a un’impresa di risonanza mondiale.
Solo negli anni recenti il tema degli sherpa si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica: ricordiamo il clima di grave tensione creatosi tra loro e gli alpinisti occidentali nel 2012, nella cosiddetta “rissa sull’Everest”, un episodio assai spiacevole, ma emblematico, che mise a rischio la vita di Simone Moro, Ueli Steck e John Griffith a seguito di una discussione avvenuta a 7000 metri con un Sirdar, cioè un capo sherpa.
Di loro si è poi tornati a parlare in occasione di una grande tragedia, il terremoto in Nepal del 2015, che causò una colossale valanga in cui perirono decine di sherpa, sull’Everest . Dopo questo evento, si scatenarono le comprensibili proteste, che portarono a bloccare le scalate e le spedizioni già in programma. Gli sherpa lamentavano la scarsa paga – rispetto ai lautissimi profitti delle grandi organizzazioni americane e/o europee – e la ridicola assicurazione sulla vita che tutt’ora spetta loro in caso di morte. Se si considera che uno Sherpa mantiene non solo la famiglia ma mezzo villaggio, la tragedia diventa ancor più grande, perché porta miseria in tantissime famiglie.
Finalmente, negli ultimi anni si sono imposti all’attenzione giovani e fortissimi Sherpa, che hanno cominciato a controbilanciare lo strapotere delle organizzazioni occidentali, che dallo sfruttamento commerciale delle grandi spedizioni himalayane hanno ricavato decenni di grandi profitti.
Va detto che è anche grazie ad alcuni alpinisti occidentali che si sono sviluppate, in Nepal ( molto meno, per ora, in Karakorum, territorio pakistano) vere e proprie scuole di Arrampicata, tecniche di Soccorso e di uso di manovre e di organizzazione logistica ed è proprio da queste prime iniziative che la mentalità dei giovani nepalesi si è sviluppata verso una consapevolezza attiva, e creativa, nell’organizzare spedizioni in alta quota.
Questa premessa era doverosa, per introdurre la figura di spicco tra gli Sherpa, che si è imposto grazie a una progressione strabiliante nel mestiere, e in particolare realizzando un exploit incredibile in questo 2017: Mingma Gyalje Sherpa, conosciuto semplicemente come Mingma G.
Mingma G ha 31 anni ed è leader di un’agenzia nepalese chiamata Dreamers Destination.
Da qualche anno, esattamente dal 2014, si era fatto notare nell’ambiente come ambizioso, forte e innovativo : in quell’anno, infatti, Mingma G scalò il K2 – ovvero in Pakistan – senza ossigeno, prima salita del K2 dopo molto tempo
Quell’anno l’ agenzia di Mingma portò suoi clienti in cima al K2 , laddove due tra le più rinomate agenzie occidentali avevano appena fallito.
I successi di Mingma come organizzatore e alpinista sono frutto di un lavoro corale progressivo, incessante e determinato, allo scopo di creare un’organizzazione solida e duratura, come lui stesso ha affermato: “per arrivare a questi successi occorrono molte persone , dai meteorologi di fiducia, alle guide e all’intero staff che lavora con me, tutti concentrati sulla sicurezza del team e dei clienti, sulla pianificazione, su un duro training di ognuno e sull’avere materiali tecnici eccellenti”.
Non è certo praticando prezzi stracciati e assumendo guide inesperte, come purtroppo capita spesso nelle spedizioni commerciali, che si consolidano risultati e si riportano a casa i clienti sani e salvi !
Non staremo a dilungarci sulle imprese di Mingma G con epiche descrizioni di memorabili salite ; basta dire che il giovane Sherpa ha all’attivo dieci ottomila senza ossigeno, e ripetizioni con ossigeno di vari ottomila su cui ha portato in sicurezza tantissimi clienti .
Un’eccezione però va fatta per questo 2017, assolutamente memorabile:
Mingma G , dopo essersi preparato per un anno, è stato capace, in primavera, di organizzare e scalare con successo, assieme a vari suoi clienti e fidate guide Sherpa, il Dhaulagiri e il Makalu, in Himalaya, poi il Nanga Parbat, di nuovo il K2 n e il Broad Peak in Pakistan.
Per il Nanga Parbat c’erano però dei dubbi espressi da lui stesso, in quanto la scarsa visibilità del giorno di vetta, eravamo alla fine di giugno, lo aveva portato a decidere di ripresentarsi alle sue pendici questo Autunno, stagione inconsueta e difficile per scalare in Karakorum. Lui lo ha fatto lo scorso 3 Ottobre, primo al mondo in autunno, arrivando in vetta con altri 7 compagni tra cui un suo fidato collaboratore, lo straordinario alpinista pakistano Ali Sadpara, primo salitore del Nanga in inverno, assieme ad Alex Txikon e a Simone Moro,l’anno scorso.
E’ per noi molto bella quest’ultima scalata di Mingma G , nella quale lo sherpa si è trovato sulla cima pakistana, ad abbracciarsi con un “hunza” locale ; un ideale abbraccio tra le nuove generazioni di grandi alpinisti e organizzatori locali, speranza di sviluppo e lavoro per tanti altri giovani abitanti, di paesi così meravigliosi ma in condizioni economiche così difficili.
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