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Il 17 Agosto il sindaco di Saint Gervais, località francese ai piedi del Monte Bianco, ha emesso un’ordinanza che impone a chiunque decida di intraprendere la via di salita detta “Voye Royale”, verso la sommità della più alta montagna europea, l’obbligo di un’ attrezzatura di base, con un elenco molto dettagliato di materiale, ,.
“Quando è troppo è troppo”, queste sono state le parole del sindaco Jean Marc Pelliex, dopo aver firmato l’ordinanza: si riferiva all’ennesimo dramma sulla montagna, dove un quarantenne è scomparso dopo aver tentato la salita in tenuta leggera e inadeguata per essere ritrovato morto, 3 giorni dopo, in un crepaccio.
“A fronte dell’incoscienza di alcuni – ha scritto Pelliex in un comunicato agli alpinisti ed alla popolazione – è mio dovere fischiare la fine della ricreazione”.
D’ora in poi chiunque si cimenterà nei sentieri e nelle vie di salita nel territorio francese di Saint Gervais, dovrà dotarsi di scarponi e ramponi, pantaloni e sovra pantaloni, giacca in goretex, dispositivo gps, imbragatura, corda, piccozza e kit di uscita dai crepacci.
Le cronache recenti di totali sprovveduti e degli improvvisatori che rischiano la loro vita e quella dei soccorritori, così come le liste degli incidenti mortali o gravi che vengono registrati ogni anno, sono in netto aumento e le autorità si vedono costrette a minacciare multe salatissime per il recupero e soccorso o a emettere ordinanze restrittive. Ma per alcuni questi provvedimenti avranno come prima conseguenza quella di minacciare e minare la libertà di andare in montagna.
Clamoroso, in questo caso, è stato il gesto dell’ultra-runner Killian Jornet, che ha pubblicato una sua foto completamente nudo in vetta al Monte Bianco e un commento chiaramente polemico e irridente nei confronti di questo “divieto”.
Il dibattito provocato dalla decisione del sindaco francese, che si è allargato ben oltre i confini della comunità alpinistica, è particolarmente vivace , anche se francamente si ripete a ogni stagione estiva e per questo è importante comprendere le ragioni dell’aumento di incidenti e confrontare le motivazioni dei punti di vista contrapposti , divisi tra chi invoca libertà e chi invece ritiene comunque e sempre prioritario, il tema della sicurezza.
Prima di tutto, non possiamo non sottolineare come il caldo eccezionale che ha portato lo “zero termico” ben oltre i 4000 metri di quota e la scarsità di neve e ghiaccio, stiano determinando una falsa sicurezza in chi affronta sentieri di alta quota. In sostanza, perché dovrei portarmi dietro 10 chilogrammi di zaino quando vedo che a 3500 metri sto benissimo in pantaloncini , maglietta e un paio di scarpette tecniche da “trail running” ?
Poi, la crescente diffusione di attività come il trail o l’ultra running – cioè la corsa in montagna su grandi dislivelli o semplicemente il trekking in quota – hanno contribuito ad aumentare il numero di persone che affrontano questi ambienti senza un’adeguata preparazione ai rischi, senza conoscenze del terreno e del meteo, credendo che sia sufficiente avere un cellulare per chiamare eventuali soccorsi, in caso di una qualche difficoltà. In sostanza si afferma una falsa sensazione dell’alta montagna come semplice pista, più o meno attrezzata, dimenticandone tutti i rischi oggettivi come ad esempio. crepacci, ghiaccio vetrato o cambi meteo improvvisi –
C’è anche da considerare la profonda trasformazione del turismo sulle alte quote, tramite la creazione di opere come funivie veloci che trasportano centinaia di turisti, accogliendoli su terrazze panoramiche e costosi rifugi hi-tech, pratiche che indirettamente aumentano il numero di persone non equipaggiate e preparate a dovere, facendo crescere. di conseguenza, il numero degli incidenti.
Infine, ci sono i numeri che aiutano a inquadrare meglio il problema: il soccorso francese compie dagli 80 ai 100 interventi l’anno sul Monte Bianco, ogni giorno nella stagione estiva circa 400 persone sono sulle vie di salita, ogni anno almeno si registrano una decina i morti e di questi, forse solo il 20% sono veri alpinisti..
In questa discussione viene chiamato in causa il cosiddetto “buon senso” ; gli oppositori ai divieti obiettano che non è il materiale obbligatorio a salvare le persone, ma “il buon senso” e la preparazione.
Cosa serve essere attrezzati se non si sa usare il materiale ?
D’altra parte, cosa può fare “il buon senso” se non vi è alla base una seria educazione ai pericoli della montagna ?
Non si può certamente pensare al Monte Bianco come a una pista di trail running o come luogo dove affrontare in leggerezza un bel trekking , nemmeno quando le condizioni climatiche sono eccellenti: il Monte Bianco è prima di tutto un gigantesco massiccio pieno di seracchi pericolosi, di ghiacciai dove i crepacci aumentano in continuazione e dove non esistono “sentieri facili”, nemmeno quelli ben attrezzati verso i tradizionali e popolari rifugi.
Nello stesso tempo i divieti o le ordinanze in alta montagna sono spesso inefficaci o dettati da ragioni che non hanno primariamente a che fare con la sicurezza, come ha acutamente notato l’alpinista e scrittore Alessandro Gogna, in un articolo sulla questione pubblicato sul suo Blog ; è con le sue parole che concludiamo Cime Tempestose di oggi:
“Noi NON sventoliamo la parola libertà per proteggere il nostro business. Perché non abbiamo alcun business da proteggere! Caso mai è il sindaco Peillex che sta, anche se in buona fede ci auguriamo, proteggendo l’enorme business legato alla salita del Monte Bianco.
Il ragionamento degli operatori turistici alla fine è del tipo: Più gente, più soldi. Più sicurezza, più gente ancora e quindi ancora più soldi. Noi invece parliamo di libertà perché siamo contro i divieti a livello morale, viscerale, profondo.
Perché siamo convinti che l’alpinismo stia cambiando, anche nostro malgrado, dunque dobbiamo vedere il buono che c’è nel cambiamento, non solo quello che non ci piace.
Chi ha fatto cose nuove in montagna ha sempre raccolto nuove sfide, andando oltre. A me non è parso di irridere mai alla cultura e al rispetto della montagna nei quali sono cresciuto.
Non possiamo vietare, imbrigliare. Non si può dire “proibito” a uno sciatore estremo e neppure imporgli un particolare abbigliamento e una precisa attrezzatura. Non si possono proibire né il free solo né la tuta alare, imponendo cintura e corda o la vela del parapendio.
L’amministratore deve limitarsi a diffondere educazione, rispetto e, soprattutto, conoscenza , nel tentativo di diminuire l’ignoranza, [che] al è momento sconvolgente. “
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