Montagna Magica

[:it]Il gran casino degli Ottomila[:]

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Premessa 

Il 25 Novembre scorso è stato pubblicato sul sito dell’American Alpine Club  un articolo di estrema importanza, scritto da Damien Gildea ; l’articolo sintetizza i risultati e i proponimenti della lunga ricerca operata da un autorevole Team internazionale di ricercatori di alpinismo, coordinati da Eberhard Jurgalski ( autore del sito 8000ers.com e cronista delle statistiche di tutte le scalate in Himalaya e Karakorum ) e composto da Rodolphe Popier ( ricercatore francese, collaboratore di 8000ers,membro Himalayan Database e Piolet D’Or ), Tobias Pantel ( tedesco, membro dell’Himalayan Database ), Thaneswar Guragai ( manager agenzia Seven Summit Treks, collaboratore per il Nepal del Guinness World Records, collaboratore 8000ers,HDB ), Damien Gildea (australiano,alpinista, esperto di Antartide) e Bob Schelfhout Aubertjin ( alpinista, ricercatore,scrittore, collaboratore di 8000ers.com).

Questa ricerca è in corso da anni e ha incluso interviste con decine di alpinisti d’alta quota, analisi fotografiche e comparative di migliaia di scatti, verifiche di immagini e mappe satellitari, verifica dei resoconti degli scalatori, ricerche cartografiche e topografiche.

Già nel 2019 , Eberhard Jurgalski sollevò il problema delle “Zone di Tolleranza” ( vedi documenti relativi su 8000ers.com ) per alcune vette di Ottomila particolarmente “problematiche” nella loro topografia e riconoscimento della vetta. La ricerca è poi proseguita analizzando decine e decine di scalate del passato , dal più remoto (rispetto alla storia dell’alpinismo sugli 8000) al più recente.

Il dibattito, particolarmente problematico, le resistenze di molti alpinisti nell’affrontare la questione spinosa, in alcuni casi anche le minacce di cause legali – per alcuni la questione metterebbe in causa la reputazione personale dell’alpinista – hanno portato alla necessità di un chiarimento e di una sintesi.

Damien Gildea è senz’altro riuscito nel difficile compito ; tuttavia, non si può non notare la dirompente forza di questo scritto e le implicazioni che esso pone nella comunità dell’Alpinismo di Alta Quota.

Vedremo, ora, se la comunità avrà sufficiente coraggio e saggezza nell’affrontare le tematiche e i problemi sollevati dalla ricerca pluriennale del gruppo di ricercatori e cronisti.

Con il gentile permesso di Dougald MacDonald, editor dell’American Alpine Club Journal e dell’autore (e amico) Damien Gildea, di seguito la mia traduzione dell’articolo in questione. Buona lettura.

LA STORIA DELL’ALPINISMO SULLE MONTAGNE PIÙ ALTE DEL MONDO NON È QUEL CHE SEMBRA

Negli ultimi anni, un gruppo internazionale di ricercatori si è reso conto di un grosso problema nella storia delll’alpinismo d’alta quota, in particolare quello degli Ottomila. Il gruppo, che si è formato attorno a Eberhard Jurgalski – principale cronista delle statistiche sull’alpinismo dell’Himalaya e del Karakorum, e il suo sito Web 8000ers.com – ha stabilito che su diverse vette di 8.000 metri molti alpinisti non hanno raggiunto la vetta, e che questo problema esiste da decenni. Solitamente l’errore è dovuto a una comprensibile ignoranza o confusione circa la natura esatta della topografia della vetta. Purtroppo, questa ricerca ci ha portato alla conclusione incredibile che è possibile che NESSUN ALPINISTA abbia raggiunto il vero punto più alto di TUTTE le vette degli Ottomila.

Sento di dover chiarire subito che la vetta è il punto più alto della montagna – e generalmente ce n’è uno solo. Quindi, in questo articolo, non scriverò “vetta principale” o “vera cima”, ma solo “vetta”. Tutto il resto è una anticima, un picco, un dosso o una cresta, ma non la vetta. Qualcuno potrebbe pensare che può fermarsi a 30 metri di distanza e 10 metri sotto il punto più alto e affermare convintamente di aver “scalato la montagna”: NO, non sei stato in cima.

Le domande che sono sorte negli ultimi anni non riguardano i già noti problemi con gli alpinisti che si fermano alla anticima rocciosa del Broad Peak o al picco centrale dello Xixabangma (Shishapangma): in realtà sono coinvolti altri 3 Ottomila.

Questa ricerca ha reso evidente che solo circa la metà degli scalatori che hanno rivendicato la vetta dell’Annapurna (8.091 metri) sono stati nel punto più alto e che quasi tutti gli alpinisti sul Manaslu (8.163 metri) non hanno proseguito fino alla vetta. Confusione anche sulla vetta del Dhaulagiri (8.167 metri).

I dossier completi che delineano i problemi storici e attuali con questi tre Ottomila sono disponibili gratuitamente su 8000ers.com.

Molte di queste “non vette” si sono verificate negli ultimi anni, durante il boom delle spedizioni commerciali sugli Ottomila, ma alcune delle scalate in questione coinvolgono anche alcuni dei più grandi nomi e scalate nella storia dell’arrampicata d’alta quota. Per quegli alpinisti che hanno salito solo uno o due 8000, queste vette mancate potrebbero non essere un problema. Tuttavia, i ricercatori ritengono che questi problemi abbiano un’importanza significativa per la documentazione storica di coloro che rivendicano, o che tentano di scalare, tutti i 14 Ottomila.

Va detto che nella stragrande maggioranza dei casi, il gruppo di ricerca ritiene che queste scalate incomplete [“non vette”,NdT] siano dovuti a errori compiuti in buona fede o per giustificabile ignoranza, piuttosto che a intenzionale disonestà. Al di sopra degli 8.000 metri, gli alpinisti sono provati sia fisicamente che mentalmente, non certo in uno stato ideale per condurre accurati rilievi topografici o confronti storici. La scarsa visibilità, il maltempo, la paura per la discesa e la preoccupazione per i partner aggravano le difficoltà.

Il team non vuole che queste problematiche, scoperte nella lunga ricerca effettuata, portino gli alpinisti a spingersi oltre la sicurezza in una data scalata. Inoltre, c’è anche una lunga storia di alpinisti che si sono fermati appena sotto le vette di alcune vette importanti, per rispetto delle credenze e tradizioni locali (ad esempio, il Kangchenjunga) o perché il punto più alto è una cornice instabile; tuttavia, queste preoccupazioni non si applicano ai tre Ottomila in discussione.

I ricercatori sono anche consapevoli della realtà socio-economica che è alla base della moderna scalata himalayana : vi è una notevole pressione finanziaria sugli Sherpa e su altre guide e lavoratori d’alta quota impiegati da tanti aspiranti agli Ottomila, per rassicurare i loro clienti sul “successo”. A seconda dell’Agenzia e del cliente, il “successo” può significare un bonus economico per la vetta, il che può incoraggiare gli Sherpa ad accettare cime più basse della vetta – specialmente se altri gruppi si fermano lì [ad esempio allestendo le corde fisse fino a un certo punto, NdT] o un bonus per portare il loro cliente oltre gli 8.000 metri di quota, il che potrebbe ridurre motivazione a continuare fino al punto più alto. Con un cliente lento e stanco, in una fila di alpinisti simili, tutti vicini alla cima della montagna e tenendo in mente la sicurezza, c’è un’enorme pressione sugli Sherpa per “chiamare buona la prima” [ ..della vetta, NdT] e un cliente grato ma inesperto potrebbe non sapere di non aver raggiunto la vetta, o semplicemente non preoccuparsene.

NUOVE FONTI DI INFORMAZIONE

Questi problemi sono emersi solo di recente per diversi motivi. L’ultimo decennio ha visto una proliferazione di foto condivise e propagate da social media degli Ottomila,tutte disponibili online. Questo nuovo materiale e altre informazioni hanno reso più facile per i ricercatori confrontare ascensioni e affermazioni e gettare nuova luce sulle ascensioni dei decenni passati.

Questa ricchezza di informazioni non era disponibile per i ricercatori, scrittori  o alpinisti fino a tempi molto recenti, un fattore che il gruppo di ricerca prende in considerazione nel giudicare ciò che chiunque avrebbe potuto sapere in precedenza sull’esatta ubicazione delle vette.

Per decenni, la cronaca dell’alpinismo in Nepal, sede di otto Ottomila, è stata metodicamente svolta dalla rinomata Elizabeth Hawley. Mentre la Hawley per lo più accettava la parola degli alpinisti, li “cuoceva alla griglia” senza pietà quando aveva dubbi, in particolare per i successi più grandi, e come capitò a un alpinista americano che tentò l’Everest nel 2003, non considerò l’essere giunto a  otto metri dalla vetta come accettabile.

Tuttavia, per le informazioni sulle topografie delle vette, la Hawley si è basata esclusivamente sui rapporti di alpinisti precedenti di cui si fidava per la loro esperienza e reputazione, e da foto relativamente scarse fornite dagli scalatori nel corso degli anni. Il gruppo di ricerca si è ora reso conto che questi alpinisti in alcuni casi si sono sbagliati e le foto devono essere attentamente esaminate e confrontate per comprendere appieno le varie topografie sommitali di ciascuna montagna.

Più di dieci anni fa, nel 2007, Eberhard Jurgalski notò nelle foto di “vetta” che gli alpinisti sul Manaslu sembravano fermarsi prima del punto più alto che i giapponesi raggiunsero nella prima salita del 1956 di quella montagna. Dopo ulteriori ricerche e discussioni con un gran numero di alpinisti esperti, la supposizione di Jurgalski si è dimostrata vera; infatti è apparso evidente che moltissimi alpinisti, sul  Manaslu si sono fermati in diversi punti prima della vetta, e che questo accadeva da anni.

Successivamente, nel 2012 e nel 2015, gli Sherpa che guidavano i clienti sull’Annapurna hanno pubblicato presunte foto e video della vetta che non sembravano essere sul punto più alto della cresta sommitale. Nelle successive discussioni e ricerche, Jurgalski si è rivolto al Centro aerospaziale tedesco (DLR), che aveva recentemente pubblicato nuove significative immagini satellitari e analisi fotografiche di alcune regioni himalayane. [Un risultato di questi lavori è un libro, Mountains: Die vierte Dimension (“Mountains: The Fourth Dimension”), pubblicato nel 2016]. Queste immagini si sono rivelate particolarmente interessanti sull’Annapurna.

ANNAPURNA

Cattura video del lato nord dell’Annapurna, che mostra le varie cime lungo la cresta sommitale, da C0 all’estremità orientale a Ridge Junction (RJ) a ovest. C2 e C3 segnano la vetta di 8.091 metri. (A) cresta superiore est. (B) Gully che porta a C1. (C) “French Couloir.” (SFE) Uscita sud. Foto di Joao Garcia

I nuovi dati del DLR hanno rivelato la topografia peculiare della lunga cresta sommitale dell’Annapurna, dimostrando che  due piccole cime, distanti appena 30 metri, potevano realisticamente essere considerate  il punto più alto della montagna, una situazione rara. Da allora, l’esame delle foto e dei rapporti degli alpinisti effettuato dal ricercatore Rodolphe Popier ha dimostrato che, per decenni, molti alpinisti dell’Annapurna non si sono fermati su nessuna di queste cime gemelle: alcuni si sono fermati vicino, altri significativamente più lontano.

Nella fotografia mostrata qui della cresta sommitale dell’Annapurna, ripresa dal lato nord nel 2010 da un aeroplano, i vari punti lungo la cresta sono stati etichettati da Popier come da C0 a C4, con “C” che denota “cornice”, poiché questa è la natura di gran parte della cresta. Viene anche mostrato il punto di uscita comune dalle ascensioni della parete sud (SFE), a est della vetta, così come lo svincolo di cresta (RJ) all’estremità occidentale. Gli alpinisti che si avvicinano alla vetta dell’Annapurna dalle vie del versante nord, come la maggior parte, sono saliti alla cresta sommitale in tre varianti: la cresta superiore est, un sottile canalone che porta al C1 e il “Couloir francese” all’estremità occidentale della parete, nel senso che finiscono in punti diversi su quella cresta, con viste diverse di quello che sembra essere il punto più alto. Il dossier di Popier sull’Annapurna, disponibile sul sito 8000ers.com di Jurgalski, entra molto più in dettaglio su questa topografia, identificando i punti di riferimento chiave e analizzando le foto di molti alpinisti per accertare la loro posizione più alta sulla cresta sommitale. L’analisi mostra che molti – circa la metà – non si sono mai fermati su nessuna delle due cime (C2 e C3) che ora si è dimostrato essere la vetta.

È importante ribadire qui che l’intento di ricerca e la pubblicazione di queste informazioni non è quello di denigrare nessuno scalatore, né di riscrivere completamente la storia dell’arrampicata di 8.000 metri, comprese le ascensioni storiche sull’Annapurna e su altre vette. L’arrampicata è molto di più che le mere altezze topografiche: riguarda le persone e la storia dell’alpinismo d’alta quota ; è un grande arazzo di persone, delle loro gesta ed esperienze, sopra e intorno a quelle grandi altezze. Come in altri filoni dell’alpinismo, alcuni alpinisti degli Ottomila hanno posto più enfasi sullo scalare una via difficile o aprirne una nuova, rispetto al mero arrivare sulla vetta ;  per tali alpinisti,l’aver raggiunto una cresta sommitale o una cima distinta ma non sommitale, o l’aver intersecato e unito la propria via a una precedentemente scalata , può essere stato sufficiente per rivendicare il successo. Il posto di questi alpinisti nella Storia è scolpito e le domande sui dettagli topografici precisi di alcune di queste scalate non cambiano l’importanza culturale delle loro imprese.

DHAULAGIRI

Dhaulagiri da nord, che mostra gli arrivi tradizionali alla cresta nord-est (A) e gli arrivi più comuni di oggi (B) alla cresta ovest della vetta. (P) Palo di metallo a est della sommità. (S) La vetta di 8.167 metri del Dhaulagiri. (WRF) Vetta rocciosa occidentale. Foto di Boyan Petrov

Per anni, molti alpinisti sulla regolare via della cresta nord-est del Dhaulagiri hanno seguito la parte finale di questa cresta verso la vetta ma alcuni di loro si sono fermati in un punto considerevolmente lontano, non raggiungendo la vetta vera e propria. A partire dalla fine degli anni Ottanta, in quel punto più basso era fissato un paletto, che indubbiamente ha creato confusione. Elizabeth Hawley respinse la richiesta di omologazione della vetta di una coppia italiana [Nives Meroi e Romano Benet,NdT] che si fermò dove era fissato il paloper errore nel 2005. La coppia tornò nel 2006 e completò la salita in vetta, come hanno fatto altri alpinisti sul Dhaulagiri [e per ragioni simili su Xixabangma e Broad Peak], perché costoro compresero e accettarono che se volevano che la loro cima fosse universalmente accettata o che fosse inclusa in qualsiasi elenco definitivo di salitori dei 14×8000, avrebbero dovuto proseguire la scalata fino al punto più alto, la VETTA.

Più recentemente, sul Dhaulagiri, la maggior parte degli alpinisti ha evitato la cresta nord-est superiore e ha invece attraversato in alto e a destra la parte superiore della parete Nord, prima di tagliare a sinistra,in uno dei due colouir per raggiungere la cresta sommitale. Su 8000ers.com, il dossier Dhaulagiri di Rodolphe Popier delinea le vari vie per la vetta e altre anticime. Come si vede nella foto sopra, gli alpinisti che prendono il canale Est arrivano sulla cresta sommitale a Ovest di un piccolo picco, il Western Rocky Foresummit (WRF), e devono continuare a spostarsi verso Est per raggiungere la vetta. Se gli alpinisti prendono il canale Ovest, escono sulla cresta più lontani dalla vetta e, dopo essere tornati verso Est, devono superare un’ulteriore piccola cima prima di incontrare il WRF  per poi proseguire fino alla vetta.

Avvicinandosi da uno dei due canali, alcuni alpinisti si sono fermati al WRF, non rendendosi conto che il punto circa 30 metri più a Est fosse la vetta. Diversi hanno notato che la vetta è solo circa uno o due metri più alta del WRF, e dato che queste cime sono ricoperte da un considerevole manto nevoso nella stagione post-monsonica, il gruppo di ricerca ha proposto che il Dhaulagiri dovrebbe essere considerato allo stesso modo dell’ Annapurna, con due vette accettabili che sono abbastanza vicine orizzontalmente e insolitamente vicine verticalmente.

 

MANASLU

La distanza tra C2, dove la maggior parte degli alpinisti del Manaslu interrompe la salita, e C4, la vetta di 8.163 metri, è di circa 20 metri in orizzontale e da tre a sei metri in verticale, a seconda delle condizioni della neve. Foto di Guy Cotter

Durante l’ultimo decennio, il Manaslu, l’ottava montagna più alta del mondo, è diventata un’alternativa più affidabile e accessibile al Cho Oyu (8.188 metri) per gli aspiranti alpinisti di 8.000 metri, molti dei quali si uniscono a spedizioni commerciali e usano la scalata per prepararsi per un futuro tentativo sull’Everest. Tuttavia, come capita con lo Xixabangma, una salita abbastanza semplice termina con un’ultima cresta difficile, una situazione che rende il Manaslu forse meno adatto a clienti guidati commercialmente, di quanto non sembri a prima vista.

Su 8000ers.com, il dossier Manaslu di Tobias Pantel esamina questa cresta sommitale. Uno scalatore che si avvicina alla cresta finale sul Manaslu non può vedere la vetta, ma può vedere il punto prominente C2, come mostrato nella foto a fianco, e alcune piccole cime prima di esso. La cresta sommitale continua oltre C2, su un’altra cima intermedia, prima di salire al punto più alto, indicato nelle foto qui come C4 – questa è la vetta di 8.163 metri del Manaslu. Per oltre un decennio, la maggior parte degli alpinisti che hanno rivendicato la vetta del Manaslu non sono arrivati ​​a questo punto –  perché non si erano resi conto che C2 non era la vetta, oppure non erano in grado di salire ulteriormente per raggiungere la vetta (C4), o semplicemente perchè non volevano rischiare.

Il gran numero di scalatori che c’è attualmente sul Manaslu ha reso questa situazione ancora più problematica. Sebbene possa essere fattibile per uno scalatore, una guida o uno sherpa fissare una corda da C2 alla vetta anche nella neve post-monsonica, probabilmente non è fattibile e certamente non sicuro avere dozzine di persone che attraversano una tale corda avanti e indietro nel ristretto lasso di tempo dell’”assalto finale”- e se negli ultimi anni circa 250-300 persone all’anno hanno rivendicato la vetta del Manaslu, in realtà la maggior parte di loro si è fermata intorno al punto C2. Questo è un esempio concreto di una delle insidie ​​e del paradosso delle spedizioni commerciali di massa: la vetta viene venduta ai clienti in base alla sua apparente fattibilità e quindi attrae un gran numero di clienti, ma quei grandi numeri finiscono per rendere il raggiungimento della vetta meno realizzabile.

La situazione sembra aggravarsi nella stagione autunnale post monsonica sul Manaslu, quando su quell’ultima cresta sommitale si formano neve alta e grandi cornici. Le condizioni primaverili pre-monsoniche di aprile e maggio di solito hanno meno cornici, rendendo la stretta traversata finale relativamente più sicura, ma le Agenzie di Guide Commerciali sono impegnate sull’Everest nella stagione primaverile pre-monsonica, quindi preferiscono preparare i clienti su una montagna più bassa durante l’ autunno precedente.

Se gli alpinisti vogliono solo scalare più in alto della quota 8.000 metri, sul Manaslu, come preparazione per l’Everest, allora può essere sufficiente seguire le corde fino al “selfie spot” drappeggiato con le bandiere di preghiere che nell’immagine è il punto C2. Ma se uno scalatore vuole essere riconosciuto inequivocabilmente come scalatore di  tutti i 14 Ottomila, o vuole accreditarsi come scalatore della vetta del Manaslu, allora è giusto che debba andare inequivocabilmente sulla vetta. Questo può significare andarci nella stagione pre-monsonica, pronti ad allestire la propria corda sulla cresta finale.

ZONE DI TOLLERANZA?

Il gruppo di ricerca 8000ers.com ha considerato e discusso il concetto di una “Zona di tolleranza” (TZ), una piccola regione intorno alla vetta, solitamente lungo una cresta che include cime leggermente più basse, che sarebbe accettabile raggiungere allo scopo di rivendicare una vetta e sufficiente per i cronisti d’alpinismo per registrare una salita di successo. Ma dove andrebbero stabiliti i confini di una tale zona?  10 metri dalla vetta vanno bene? Perché non 20 metri? 5 metri in verticale sono accettabili ma 30 metri in orizzontale sono troppo lontani? Date le diverse topografie di ciascuna area sommitale – il Manaslu è minuscolo e ripido, l’Annapurna lungo e indistinto – dovrebbero esserci parametri diversi per ogni montagna, e ciò potrebbe rivelarsi impraticabile.

Per i futuri scalatori, il quadro è chiaro. Dato che la natura delle regioni sommitali su queste vette problematiche è ora nota – e disponibile da alcuni anni, aiutata da supporti tecnologici per l’arrampicata – il gruppo di ricerca ritiene che non ci siano scuse per rivendicare una vetta di queste montagne senza raggiungere in modo verificabile il punto più alto, in particolare per coloro che vogliono rivendicare la salita tutti i 14 degli 8.000. Quindi non dovrebbe esserci nessuna zona di tolleranza su nessuna di queste vette per la rivendicazione di salite dopo il 2020. La vetta è la vetta. Quando si guarda alle salite passate, tuttavia, il gruppo di ricerca ritiene che sia giusto e pratico dare spazio a comprensibili confusioni o errori, e quindi le rivendicazioni della vetta dovrebbero essere rispettate per gli scalatori che storicamente hanno terminato nelle seguenti zone:

  • Annapurna: C1 a est fino al Ridge Junction (RJ) a ovest
  • Dhaulagiri: il Western Rocky Foresummit (WRF) e la vetta
  • Manaslu: da C2 a C4  (vedi foto precedenti)

È ora chiaro dai dossier su 8000ers.com che un numero di persone precedentemente considerato come scalatore di tutti i 14 Ottomila, in realtà non lo ha fatto, anche se si tiene conto della Zona di Tolleranza. Sebbene il gruppo di ricerca abbia tentato di acquisire il maggior numero possibile di foto e resoconti di alpinisti, per gran parte di questo non è stato possibile. Alcuni di questi alpinisti sono morti  ; quindi, causa la mancanza di informazioni da alcuni alpinisti, è impossibile affermare con audacia che nessuno ha scalato tutti e 14 gli Ottomila, ma è anche possibile che questa sia la verità. L’elenco più accurato e completo di collezionisti degli Ottomila è quello di Jurgalski su 8000ers. com.

Tuttavia, qualsiasi elenco di questo tipo è solo un elenco di pretendenti: al momento, non può esserci un elenco definitivo di alpinisti che sia stato verificato inequivocabilmente nell’ aver raggiunto tutte le vette.

Una lista può mai essere “definitiva”? La revisione è comune e continua in tutte le forme di Storia, inclusa la Storia dell’Alpinismo: i fatti sono raramente definitivi e ci sono molti aspetti nelle vicende da considerare. Un elenco definitivo per questo particolare argomento è probabilmente un’illusione, un’illusione di precisione che non può esistere, un’illusione di controllo sulla Storia che non potrà mai esistere.

Yannick Graziani festeggia sulla vetta dell’Annapurna dopo una salita in stile alpino di otto giorni della parete sud con Stéphane Benoist. I due sono usciti dalla parete ad est della vetta, oltre il punto C1 visibile in lontananza lungo la cresta sommitale, per poi arrancare fino alla vetta. Per essere certi di aver raggiunto il punto più alto, Graziani ha proseguito per C3 Ovest, poi è tornato a questo punto per iniziare la lunga discesa. Foto di Stéphane Benoist

TUTTO QUESTO E’ IMPORTANTE  ?

Il gruppo di ricerca ha cercato di giungere a conclusioni topograficamente accurate, eticamente corrette e socialmente accettabili, ma tutto ciò si è dimostrato estremamente difficile. Il gruppo è riluttante a imporre regole artificiose agli altri o a far luce sui piccoli passi falsi degli alpinisti ispiratori del passato. Ma sentono fortemente che è necessario tracciare una linea da qualche parte per chiarire il record storico, per rendere praticabile la cronaca futura delle ascensioni e per rispettare l’impegno di coloro che si sono sforzati di andare fino alla vetta, in particolare per coloro che sono tornati su una montagna dopo aver realizzato un errore precedente, con tutti i rischi, le spese e gli sforzi che ciò ha richiedeva.

Se si vogliono  trascorrere le vacanze facendo un po ‘di arrampicata divertente, è meglio andare sulla Sierra Nevada o a Chamonix che sull’Himalaya o sul Karakorum. Se si vogliono sperimentare le Grandi Catene Montane, si può andare in una qualsiasi delle altre cento vette o semplicemente fare trekking. Gli Ottomila sono duri, pericolosi, costosi e raramente divertenti, anche per gli standard strani e masochisti degli alpinisti.

Sulle montagne alte più di 8.000 metri, le persone mirano quasi sempre a salire in vetta. La stragrande maggioranza non sta esplorando nuovi terreni o spingendo i confini nel mondo dell’alpinismo. Questi sono picchi – trofeo, e non ottieni un trofeo per esserti fermato a 90 metri nello sprint dei 100 metri. Quasi tutti gli alpinisti che tentano vette di 8.000 metri, oggigiorno, sono lì per raggiungere un obiettivo unico – la vetta – non solo per ridere con gli amici o godersi la scalata.

Quindi, se noi alpinisti vogliamo esser onesti con noi stessi sul motivo per cui andiamo su queste montagne, allora dovremmo mantenere tale onestà durante tutto il processo ; il successo su un Ottomila significa andare fino al punto più alto.

SPAZIO PER.. RESPIRARE

Poiché questo articolo è stato completato nella tarda primavera del 2020, tutte le spedizioni primaverili ed estive in Nepal e nell’Himalaya indiano sono state annullate a causa del COVID-19; la stagione del Karakoram era molto probabile che iniziasse -e anche le stagioni del monsone in Nepal-Tibet sarebbero state cancellate. Questa pausa unica, a livello mondiale, ha dato alla comunità degli alpinisti una rara possibilità di fermarsi e tracciare una linea tra le pratiche che hanno distorto la nostra cultura e la Storia dell’Alpinismo.

La community potrebbe dichiarare che, dal 2021 in poi, se gli alpinisti vogliono essere inseriti nelle liste ufficiali delle vette e nelle cronologie definitive, verranno considerate solo le salite verificate in vetta, non in punti più bassi.

Quest’anno ci dà anche spazio per pensare al perché lo facciamo, perché scaliamo. È davvero per l’esperienza, per tutti i motivi intangibili a cui alludiamo nella letteratura o sui social media? O è semplice come voler spuntare un elenco, per qualche motivo? Diamo valore al primato sulla qualità, ai risultati sull’esperienza? La vetta è la vetta, ma l’arrampicata è più che la vetta.

Chi l’Autore: Damien Gildea è un alpinista australiano, autore di “Alpinismo in Antartide” e collaboratore dell’American Alpine Journal.

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